5. Genio in vestaglia

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La pozione ribolle nel calderone, nuvole viola di vapore scoppiettante risalgono in spirali dalla superficie e mi esplodono proprio sotto il naso. Nel laboratorio aleggia un odore terrificante.

Sistemo gli occhiali protettivi davanti agli occhi prima di gettare nel composto una radice di aconito triturata. Mescolo con cura e osservo soddisfatto il liquido trasformarsi da brodaglia densa e viscosa a composto fluido e vellutato.

Puzza ancora, ma almeno non devo più usare una forza sovrumana per roteare il mestolo. Chiunque abbia creato il mito degli scienziati raffigurati come creature rinsecchite e deboli, magari anche un po' miopi e con i capelli sparati, chiaramente non ha mai provato a mescolare una pozione classe xxx.

Il fatto che io sia effettivamente miope e con i capelli sparati è un'altra storia.

Tendo le orecchie quando sento un rumore che mi fa gelare il sangue e perdere dieci anni di vita: tacchi che picchiettano frettolosi sul pavimento di legno e preannunciano la mia fine.

Getto il mestolo sul tavolo da lavoro, chiudo il calderone con il coperchio nell'esatto istante in cui la porta si spalanca.

«Signor Potter, la conferenza ha inizio tra venti minuti» annuncia Agatha, la mia segretaria, i boccoli biondi stretti in una coda alta e la mano smaltata di rosso posata sulla maniglia. «Ha indossato il completo?»

Mi squadra, gli occhi azzurri che si assottigliano dietro le lenti a goccia mentre li lascia scorrere, con disappunto sempre crescente, sulla mia vestaglia scozzese.

«Non posso crederci!» sbotta, il tono di voce così simile a quello di mia madre prima di mettermi in punizione. «È ancora in pigiama? Questa conferenza è importante, non sa quanti personaggi di spicco saranno presenti?» il suo braccio scatta verso il corridoio alle sue spalle. «Si muova, vada subito a vestirsi!»

«Se tu mi lasciassi solo qualche minuto per finire di preparare la pozione...» tento, gli occhialetti protettivi che mi schiacciano i capelli sulla fronte e scommetto mi stiano facendo apparire ridicolo.

Agatha non mi risponde neanche, continua a puntare imperativa verso il corridoio e io non posso fare altro che sospirare.

•••

Stringo nervosamente le mani tra di loro, la schiena sprofondata nella poltrona imbottita che fa da arredamento nell'ufficio di Scorpius.

Kenji, posizionato dietro di me, posa pigramente il gomito sul mio schienale e reprime uno sbadiglio.

Stiamo aspettando, insieme al resto della squadra, che ci venga assegnato l'incarico della giornata e l'ansia mi sta uccidendo.

Scorpius se la prende con comodo. È appoggiato davanti alla scrivania mentre
studia alcuni documenti che tiene tra le dita, gli occhiali da lettura che gli scivolano sul naso e mi ricordano che, nonostante il suo aspetto duro e autoritario, la mascella squadrata e le cicatrici, lui è anche, e prima di tutto, un aristocratico: prende il tè del pomeriggio con i biscotti alla cannella, non mangia con le mani e da bambino ha avuto insegnati privati di latino e pianoforte.

Lezioni inutili, a mio parere, visto che ad un agente delle forze speciali non servono a niente. A meno che, certo, non decida di suonare qualcosa come il Requiem di Mozart per rendere l'uccisione di un criminale più drammatica.

Mi torna in mente di quando, ad Hogwarts, seduta in un angolo strategico della biblioteca, mi ritrovato a osservare di nascosto (e per scopi accademici) la sua testa bionda china su un libro o il modo in cui le sue dita stuzzicavano distrattamente il bordo delle pagine, proprio come sta facendo adesso.

Weasley's rouletteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora