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"it left a pearl, in my head and I roll it around, every night just to watch it glow"

Il treno aveva appena iniziato a muoversi lentamente sui binari, in modo faticoso. Mi erano sempre piaciuti i treni.

L'atmosfera di mistero che si creava all'interno di essi, il rumore ipnotico delle rotaie, i paesaggi che si susseguivano senza fine. Delle volte poggiavo la testa al finestrino immaginandomi che il viaggio mi avrebbe in realtà portato in un'altra dimensione, piuttosto che la destinazione prefissata.

Non prendo spesso il treno, quando lo facevo da piccola, era per andare a visitare i miei nonni in montagna o per una gita scolastica, ma stavolta la causa del viaggio non era altrettanto spensierata. Preferivo non pensarci.
Un tuono ruppe la apparente quiete che si era creata nel treno; apparente poiché se non mi fossi persa nei miei pensieri, avrei potuto facilmente sentire la gente parlare in modo sommesso, e qualche cane abbaiare.

Mi strinsi nel mio cappotto verde bottiglia; non faceva freddo all'interno del vagone, era stato più che altro un gesto involontario, causato dall'ondata di ricordi che non ero pronta ad affrontare. Con un sospiro abbassai lo sguardo sul biglietto appena timbrato, che stringevo nella mia mano.

"Shiganshina", recitava a lettere cubitali. Lo accartocciai, come se fosse colpa sua se mi trovavo lì.
Vorrei tanto riavere la stessa vita di quattro anni fa, quando i miei genitori erano entrambi vivi ed avevo il mio migliore amico ancora con me. La mia casa, la mia routine, i miei amici.

È stato tutto cancellato una sera di ottobre, quando ricevetti una chiamata dalla polizia avvisandomi che i miei genitori erano entrambi morti in un incidente stradale. Ero con Eren, che si era proposto di accompagnarmi a casa con il pretesto di raccontarmi la trama di un nuovo gioco che aveva intenzione di comprare. Ai tempi, quando mi arrivò la chiamata, non riuscii a dire nulla. Mi cadde il telefono dalle mani, mentre tutto attorno a me perdeva la sua forma e consistenza; non riuscivo a sentire nemmeno la voce di eren, che preoccupato mi chiedeva cosa fosse successo. Sentivo di dover piangere, sentivo dolore, ma dai miei occhi non usciva alcuna lacrima, dentro di me c'era solo un assordante silenzio.

Poco tempo dopo, mio zio Levi si offrì di farmi vivere con lui, dato che non avevo nessuno a parte lui. L'unica cosa che mi disse fu che col tempo mi ci sarei abituata, che per un po' era meglio non tornare a Shiganshina.

Ci fermammo un attimo a casa mia per prendere le mie cose, anche se non volli prendere quasi nulla, perché sapevo che sarebbe stato d'intralcio. Non volevo ricordare com'era la mia vita prima di questo evento attraverso degli oggetti. Le uniche cose che presi furono alcuni vestiti, dei soldi che avevo conservato, ed una sciarpa che mi aveva prestato Eren. Alla vista di essa, pregai mio cugino di lasciare almeno che lo salutassi, ma non me lo permise, dicendo che era tardi e non potevo più perdere tempo.

Il giorno dopo decisi di scrivergli una lettera, dove gli raccontavo tutto ciò che era successo, sapendo che lui avrebbe capito. Dopo averla spedita aspettai giorni, settimane, mesi per una risposta che non arrivò mai. Non è stato facile dover rinunciare a qualcuno che dentro di te hai sempre amato; non è stato facile dover accettare che per lui forse non ero così importante come credevo.

Sarebbe stato bene, si sarebbe fatto altri amici, sarebbe andato avanti anche senza di me. Il suo comportamento mi aveva spezzato il cuore, mi resi conto che non potevo più contare su di lui, che ero sola.

Col tempo mi convinsi di odiarlo, il mio orgoglio fece buona parte del lavoro, tanto non ci saremmo mai più rivisti. Non riuscivo a credere a come potesse essere così egoista, e non essersi disturbato a capire la situazione, lasciando vincere il suo orgoglio, come era solito fare.

Dei miei amici, l'unico con cui ero rimasta in rapporti era Armin, l'unico che effettivamente era rimasto al mio fianco in silenzio, rispettando i miei spazi ed il mio silenzio.

Aveva provato spesso a farmi riparlare con Eren, si era proposto di parlarci, ma avevo sempre rifiutato, poiché non pensavo avesse senso che dovesse essere qualcun altro a tentare di salvare il nostro rapporto, mentre noi restavano fermi a guardare.

Ma la vera ragione per la quale stavo tornando, era che la convivenza con Levi era diventata impossibile. Da quando avevamo iniziato a convivere, aveva avuto sempre più problemi a pagare l'affitto, ed iniziò a sfogare i suoi problemi con l'alcol. Le sere in cui tornava a casa ubriaco diventarono più frequenti di quelle in cui tornava sobrio, ed aveva anche iniziato a diventare un pericolo per me oltre che per sé stesso.
In un momento di lucidità mi disse che non potevo più vivere lì, che avrebbe sbrigato le procedure per farmi ritornare a Shiganshina per farmi frequentare il quinto superiore lì, e farmi alloggiare nell'istituto.

Ancora una volta, ero da sola e non avevo più un posto da definire casa. Il sapere che dovevo tornare nello stesso posto in cui avevo vissuto la mia infanzia, e che l'aveva rovinata, mi faceva male. Era come una coltellata dritta nelle costole, con il pugnale a fermare l'emorragia ma che teneva aperta la ferita. È la stessa sensazione che le persone denominano nostalgia.

La nostalgia ci fa rivivere nella nostra mente in modo vivido tutte quelle cose che non siamo pronti a ricordare, ma che vorremmo disperatamente non fossero ricordi. Sperai con tutta me stessa di non capitare nella stessa classe con le mie vecchie conoscenze, almeno non con Eren. Non ero pronta a vederlo.
Ad un tratto, una voce squillante annunciò attraverso l'altoparlante l'ultima fermata, quella a cui dovevo scendere, mio malgrado.

Con un sospiro afferrai il mio trolley nero e mi avviai verso una delle uscite, facendo attenzione a non cadere nel mezzo dei binari. Diedi una veloce occhiata in giro alla ricerca di un volto conosciuto: l'unica persona a cui avevo effettivamente detto che sarei tornata, Armin. Controllai il mio smartphone alla ricerca di un possibile messaggio perso, ma nulla.
Qualcosa alla mia destra aveva attirato la mia attenzione, un rumore sordo seguito da un'imprecazione.
Mi girai, e vidi che da un'uscita più distante dalla mia, c'era un ragazzo che stava avendo problemi a tirare fuori il suo bagaglio, rimasto incastrato in qualcosa all'interno del treno.

Inizialmente non ci trovai nulla di interessante, e continuai a cercare il mio amico con lo sguardo. Quando però, il ragazzo aprì di nuovo bocca imprecando nuovamente, mi resi conto che la sua voce somigliava fin troppo ad una voce che non sentivo da troppo tempo. Tornai a guardarlo, esaminandolo più attentamente: era alto, più alto di almeno dieci centimetri dall'ultima volta che ci eravamo visti. Aveva i capelli castani costretti in un codino dietro la testa, abbastanza disordinato, difatti alcune ciocche ricadevano in modo scomposto sulla fronte e sulle orecchie. Gli occhi erano verdi, non come i classici occhi verdi, ma di un verde brillante, ed erano ancora espressivi come una volta. Le sopracciglia erano inarcate in un'espressione concentrata a trascinare il suo bagaglio.

Mi resi conto dopo vari secondi che il suo sguardo non era più rivolto verso la sua valigia, ma su di me, in maniera interrogativa. Persi tutto l'autocontrollo di cui ero a disposizione, avvertendo le mie guance diventare rosse. Mi girai dandogli le spalle e mi allontanai velocemente avviandomi verso l'interno della stazione.

Non credo mi abbia riconosciuto, e se anche lo aveva fatto, ormai era tardi perché ero riuscita a 'seminarlo'. (Non credo sia il verbo più appropriato ma vabbè) . Ad un tratto mi sentii toccare la spalla da una presa decisa, e fui costretta a girarmi.

I remember it all too well // eremika Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora