CAPITOLO 2

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KLEO
Lì, in Italia. Non sapevo come avrei dovuto reagire, se urlare, o piangere, o bestemmiare come un camionista russo. Il fatto è che non reagii affatto. Rimasi lì impalata, come un manichino a fissare la zia che mi diceva che ci saremo trasferiti al di là del mondo. Lontano dai miei amici, dalla mia scuola, dalla mia Manhattan, dalla mia vita. Mi girai e corsi in camera. Non riuscivo a pensare, ero nel panico più totale. Alla fine afferrai la borsa e mi catapultai fuori. Corsi per un pezzo, non sapevo cosa fare. Quando finalmente mi fermai, non sapevo esattamente dove mi trovavo, era buio, e non riconoscevo nulla. L'unica cosa di cui ero sicura era che ero a Central Park, da qualche parte dentro ai 3 km quadrati di Central Park. Mi sedetti in una panchina vicino ad un lampione. Ero stanca. Avevo il cuore che batteva in un modo impressionante e il fiatone. Non sapevo dove andare; a casa di sicuro non ci sarei tornata per ora.. Il parco non era ancora vuoto, erano circa le 10 e mezza, per un po' ci sarebbe stata ancora gente, non correvo nessun pericolo. Mi distesi sull'erba vicino a quella che sembrava una quercia, sentivo le ghiande sotto la schiena, ma non erano troppo fastidiose.

Venni svegliata di colpo da uno scossone. Di fianco a me c'era un uomo che mi guardava in modo strano.
«Lo sa che ore sono, signorina?»
«Emh, io... No.»
«Il parco chiude tra pochi minuti, dovrebbe uscire.»
«Mi scusi, mi ero assopita.»
Beccata da un giardiniere a mezzanotte passata a dormire sotto un albero. Chissà cosa aveva pensato. Accesi il cellulare, "17 chiamate perse da Zia Agata". Merda. Ero un po' lontana da casa, era notte fonda, sinceramente avevo un po' di paura a tornare a casa a piedi. Ma non avrei mai chiamato la zia. Questione di orgoglio. Mi incamminai a piedi, la strada era abbastanza illuminata, non faceva così paura come pensavo.

Arrivata a casa infilaii la chiave nella toppa, e facendo meno rumore possibile girai. All'interno era tutto buio, dal soggiorno arrivava la luce tremolante della TV. Passandoci davanti vidi la zia distesa con gli occhi chiusi e il cellulare sopra la pancia. In camera mi buttai subito sul letto e nel giro di pochi minuti sprofondai nel sonno.

Feci strani sogni, cose confuse, un po' angoscianti oserei dire. Verso le tre non ce la facevo più, avevo dormito bene o male un ora da quando ero arrivata a casa, e nemmeno in modo continuo...
In cucina c'era sempre una vaschetta da mezzo chilo di gelato, era esattamente quello che ci serviva per calmarmi. Sentire il gelato che scivolava giù per la gola era una sensazione fantastica, poi quello che comprava la zia era davvero buono. Ne mangiai tre etti di sicuro, e lo avrei finito se qualcuno non mi avesse interrotta...
«Hai intenzione di mangiarlo tutto?»
Non risposi, ero ancora incazzata nera, non poteva trascinarmi via da Manhattan. Invece poteva.
«Guarda che non è così complicato rispondere.»
«Si che lo è, lo è se hai un groppo in gola.»
«Tesoro, mi dispiace molto, ma è mio dovere e...»
«Non chiamarmi tesoro, non sono tua figlia, ricordatelo.» - la interruppi. Sbattei la scatola bianca sul tavolo e scappai fuori dalla cucina. Non avevo mai litigato con la zia, mi sentivo da schifo.
Mi appoggiai alla parete vicino alla porta della cucina, e sentii dei singhiozzi. La zia stava piangendo!!! Piangeva e mangiava gelato, sembrava tipo una di quelle ragazze dei film. Corsi da lei e la abbraccia forte.
«Kleo, posso immaginare come ti senti. Mi dispiace che dobbiamo trasferirci in Italia, cosa credi, anche per me non è così semplice.»
«Zia scusa, non volevo ferirti.»
«Lo so che non era tua intenzione. Vai a dormire ora, e lasciami finire il gelato.»
«Certo. Notte zia.»

A letto finalmente riuscii a dormire, avevo semplicemente bisogno di chiarire con la zia.

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Ciaooo. Scusate se il capitolo è lungo e la sostanza è poca, il prossimo sarà meglio, prometto.
Sorry per gli errori.

~Nora

KLEOPATRA RIVERADove le storie prendono vita. Scoprilo ora