Seneca VI

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Tristan non parve volersi presentare al cospetto della ragazza neanche la mattina seguente. Era certa che non avessero dormito nella stessa stanza, ma avrebbe giurato sulla sua vita che aveva sentito il rumore quasi inesistenti di passi felpati ad un'ora tarda della notte, il che implicava un suo ritorno nel palazzo per la notte.

Presto' poca attenzione alla sua assenza. Per quanto le sembrasse scorretto, l'unico suo interesse verso di lui riguardava la storia della strage. Si reco' di buon'ora al consiglio, sedendosi sulla sedia a lei assegnata con ben poca confidenza, sotto gli occhi ardenti di ira e sottostima degli altri due membri. Il modellino di legno della Città si era allargato. Vantava adesso l'aggiunta della piccola fortezza di Seneca sulla collina.

<<Ottima manifattura, non e' vero?>> Uno dei due uomini prese in mano il castello, facendolo girare tra le sue dita, per poi lanciarlo verso la ragazza e facendolo atterrare di fronte a lei:<< Anche se dovremmo un po' abbrustolirlo per renderlo fedele all'originale...>>

L'altro uomo emise una risata breve ma profonda, mentre la ragazza si mordeva l'interno della guancia con forza e riposizionava il pezzo sul modellino con una certa violenza nell'incastro di esso nella sua base.

<<Come vedi - Il più alto dei due le indico' il modellino - La Citta' e' divisa in interno ed esterno, fuori e dentro le mura.>> Si interruppe, rivolgendo uno sguardo alla giovane per assicurarsi che avesse afferrato il concetto.

<<Io mi occupo dell'esterno, il mio collega dell'interno. - Sorrise - E tu? Tu di che cosa ti occuperai, dunque?>> Continuo' a perforarla con lo sguardo, mentre spostava il suo dito meccanicamente dall'interno all'esterno, poi viceversa.

La diretta interessata stette in silenzio, seguendo il dito dell'uomo con lo sguardo: " Interno, esterno. Fuori o dentro le mura". Lo sguardo le scivolo' sul modellino di Seneca, ma lo riporto' immediatamente sulla Citta'.

<< Mi occupero' delle mura.>> Rispose fermamente, ricambiando lo sguardo dei due:<< Fuori o dentro, io sto in mezzo.>>

L'uomo boccheggiò per qualche secondo, cercando una buona frase per ribattere, o che potesse negare la sua affermazione.

<<Pensavo che avresti continuato a occuparti delle camere di Faucher.>> Sbotto' l'altro.

<<Quelle, signore, sono all'interno.>>.

Uscendo dal salone del concilio, avverti' la brezza del vento accarezzarle le guance e scompigliarle i capelli. Il cielo si era fatto scuro, mentre il bagliore delle torce più intenso. Volse lo sguardo verso le mura, con i mattoni rossi talmente in ombra da sembrare neri. La sera non pareva così buia da non poter andare a fare un piccolo sopralluogo. Per le strade c'era ancora gente che camminava o sedeva alle locande.

Erano, dal palazzo al punto più vicino delle mura, quasi centomila passi. Se fosse partita in quel momento avrebbe fatto in tempo ad andare e tornare indietro prima che fosse completamente notte fonda. In caso contrario, sarebbe potuta rimanere sulle mura, sempre meglio di in un edificio in cui Faucher poteva entrare a suo piacimento.

Si avviò dunque verso le mura sapendo che non avrebbe visto granché a quell'ora, ma non volendo arrivare impreparata alla riunione del giorno seguente.

La cinta di mura che circondava la città era largamente più spessa e robusta di quella di Seneca, oltre all'essere più estesa. Era ovviamente un territorio troppo vasto per essere gestito da soli due uomini: Aveva appreso che il concilio rappresentava solo l'élite della difesa, i vertici più alti. A loro disposizione avevano poi progettisti, falegnami, costruttori. Talmente tanti collaboratori che la ragazza si stupiva che il concilio non si fosse ridotto solo ad approvare o declinare i progetti proposti.

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