CAPITOLO DICIANNOVE

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FEDERICA
Due mesi dopo.

Il campionato era iniziato da qualche settimana e Giovanni era sempre più incasinato tra allenamenti e partite.

Avevamo affrontato un trasloco, adattando l'arredamento della nostra casa ai nostri gusti, e mettere in comunione le nostre idee non era mai stato complicato come allora.

In quei due mesi litigammo così tanto che ero sul punto di mollarlo ancora prima di iniziare il nostro viaggio insieme, perché mi resi conto che se quelli erano i principi della nostra convivenza allora era meglio che ognuno stesse per i fatti suoi, ma poi realizzai che quello era ciò che mi serviva per conoscerlo davvero.

E chiusi un occhio, spesso li dovetti chiudere entrambi, pur di farlo felice e non sentirlo piagnucolare. Non gli piaceva mai nulla, litigammo più nei negozi di arredamento che tra le mura di casa, ma alla fine riuscimmo a trovare un accordo.

In fin dei conti, però, ne valse la pena. Quelle fondamenta avevano preso vita divenendo il nostro primo nido d'amore, ed era stato possibile anche grazie a tutti quegli scontri.

Ora ammiravo quella casa con orgoglio, rendendomi conto che le nostre forze avevano tirato su qualcosa di grande.

«Buongiorno, tesoro» le braccia di Giovanni mi avvolsero dolcemente da dietro, mentre io ero intenta a sorseggiare il mio caffè guardando dalla finestra.

Quando dicevo che con lui immaginavo tutte le cose più belle intendevo anche questo: sentire le sue braccia attorno a me appena svegli.

Mi voltai piano, legandogli le braccia al collo, poi lo baciai. «Buongiorno» risposi.

«Ti ricordi che stasera porto Azzurra a casa, vero?» mi ricordò il difensore.

La sua situazione con Clarissa si era calmata, ed era triste pensare che gli animi si fossero placati solo quando gli avvocati si sono messi in mezzo. Lei aveva trovato un compagno, o almeno così diceva, e sembrava decisamente più serena.

Così facendo, aveva semplificato di molto la vita mia e di Giovanni, che ormai vivevamo serenamente senza troppe preoccupazioni. Lui aveva un piano da seguire per le bambine e riuscivano a rispettarlo, per cui c'era poco da temere ormai.

«Certo, non vedo l'ora. Dorme qua o devi riportarla a casa dopo?» gli chiesi, facendo sorridere Gio.

Il fatto che Clarissa mi stesse permettendo di far parte della vita delle bambine mi stupiva, normalmente un mese prima non lo avrebbe mai fatto, ma ora qualcosa stava cambiando ed io volevo godermi ogni attimo.

«Faremo decidere a lei. In entrambi i casi avviserò Clarissa» mi rispose poi, baciandomi fugacemente sulle labbra prima di sparire al piano di sopra per andarsi a preparare.

Sospirai, continuando ad ammirare il panorama lì fuori. Lo sfondo di Posillipo rendeva le mie mattinate migliori, donandomi la carica giusta per iniziare la giornata.

«Stai bene? Sei bianca come un lenzuolo» mi chiese Gio, ritornando da me vestito e pronto per andare all'allenamento.

«Si, sono solo stanca» ammisi, sedendomi sullo sgabello della penisola in cucina.

Il numero ventidue mi rivolse un'occhiata di comprensione, afferrando il suo borsone e il cellulare. «Riposati un po', tutto questo sforzo non ti ha fatto bene» sospirò poi, venendomi incontro per stamparmi un bacio.

LIFETIME | GIOVANNI DI LORENZODove le storie prendono vita. Scoprilo ora