CAPITOLO VENTUNO

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FEDERICA

Le ventiquattro ore seguenti a quella sera, la sera del test, furono come una giostra di emozioni. Senza un apparente motivo, quando vidi quella dicitura non incinta su quell'aggeggio elettronico, il mio cuore si lacerò.

Non mi aspettavo che fosse positivo. Ero abbastanza sicura che non fosse successo niente, e che i miei sintomi così simili a quelli gravidici in realtà erano solo causati dallo stress, ma ci rimasi male.

Specialmente dopo aver sentito Giovanni rivelarmi la sua speranza. Non seppi cosa dirgli, davanti a quella reazione sconfortata e dispiaciuta non riuscii a parlare. Gli dissi che quando sarebbe arrivato, o arrivata, saremmo stati lì a festeggiare.

Eravamo passati dal non affrontare l'argomento al fare un test di gravidanza nel giro di nemmeno ventiquattro ore, e questo di base mi aveva già sconvolta. Figuriamoci sentire che Giovanni voleva davvero un figlio da me e stava sperando che fossi incinta.

Mi sentivo pronta per accogliere una nuova vita? Non sapevo dirlo con certezza, perché forse non esiste un vero momento in cui si capisce di esserlo, però sicuramente diventare mamma era uno dei miei più grandi desideri. E se fosse successo con Giovanni avrei soltanto potuto gioirne.

In quelle ventiquattro ore la mia mente aveva visto solo l'immagine di me e il difensore del Napoli chiusi in bagno a guardare l'esito negativo di quel test. Non riuscivo a smettere di pensarci e, a dirla tutta, ero sicura che anche per il mio fidanzato fosse lo stesso.

«Stavo pensando che tra qualche giorno sarà il tuo compleanno, ma io sarò in trasferta» esordì Giovanni ad un certo punto, sospirando, mentre faceva zapping tra i vari film proposti su Netflix.

Non potei fare altro che roteare gli occhi e storcere le labbra, dispiaciuta. «Recuperiamo quando torni. Posso sempre festeggiare con Alma» gli risposi io sorridendo.

Non volevo che si sentisse in colpa, ma avevo imparato a conoscerlo e potevo intuire che stesse rimuginando su questa cosa da qualche giorno.

Mi portai poi una mano sul ventre e sospirai. «Non riesco a smettere di pensarci» ammisi, facendo annuire Giovanni.

Il difensore mi attirò a sé, lasciandomi un bacio sulla testa. «Quando vuoi, quando ti senti pronta. Io, lo sai, non ho fretta» mi rassicurò, tenendomi stretta.

Io un po' di fretta ce l'avevo, ad essere sincera. Non avevo mai avuto un interesse nel crearmi una carriera, e per questo motivo mi sentii sbagliata per anni. Dopo il diploma conseguito al liceo scientifico mi iscrissi all'università, ma a metà del primo anno feci la rinuncia agli studi perché il vincolo universitario mi faceva stare male. Così feci i lavori più assurdi, prima di stabilirmi definitivamente nella gioielleria di mio padre.

Con la fortuna di non avere vincoli legati ad una carriera, ed un lavoro che comunque non mi toglieva chissà quanto tempo, il mio unico desiderio era poi diventato quello di costruire una famiglia e dedicarmi ad essa.

«Ma tu lo volevi sul serio?» gli chiesi. Forse quella era l'unica domanda che in quell'arco di tempo non gli avevo ancora fatto.

Giovanni accennò un sorriso, scompigliandomi i capelli. «Mi sarebbe piaciuto, ma non voglio che ti stressi adesso. Lo sai che più ci pensi e più non arriva?» mi disse poi.

Sbuffai, ora mi faceva anche le prediche. «Sì, come il ciclo. Ma dai. Comunque basta, non voglio parlarne più» mormorai io, stringendomi più stretta al suo petto.

Chiusi gli occhi, sperando di riposare, ma nello stesso momento una fitta al ventre mi fece sobbalzare. Mi alzai di scatto, provocando uno scatto anche da parte di Giovanni che si era visibilmente preoccupato.

LIFETIME | GIOVANNI DI LORENZODove le storie prendono vita. Scoprilo ora