Si perdona finchè si ama.
Ieri, quando mi addormentai, erano le ventidue e mezza circa.
Stamattina, nonostante ciò, mi sono svegliata presto: sono le sei in punto. Il sole è già in cielo mentre fa diventare la stanza più luminosa grazie ai raggi che entrano dalle finestre poste dopo l'armadio: si prospetta una bella giornata.
Sono stata abituata sin da piccola ad alzarmi dal letto da sola, senza aver bisogno di una sveglia, per questo ho deciso di non svegliarmi tardi, così da poter cominciare a preparare la colazione per gli altri.
Mi vesto con dei cargo larghi di un colore grigio chiaro, un maglioncino di cotone senza colletto color marrone con una stella, anch'essa grigio chiaro, al centro. Non indosso collane, solo orecchini semplici.
Ai piedi metto delle adidas ozweego, beige, che riprendono lo stile dei cargo. Mi pettino e decido di scendere giù.
Mentre cammino fino alla cucina mi stropiccio gli occhi e, non riuscendo a vedere dove metto i piedi, vado dritta dritta addosso ad Akira, che stava camminando apparentemente davanti a me.
Divento pallida per lo spavento.
Adesso mi uccide, ci scommetto.
Mi tiro indietro, alzo le mani già pronta per scusarmi, però la sua reazione non corrisponde a quella che mi aspettavo: non si gira neanche per vedere chi fosse stato, si limita solamente ad andare in bagno, chiudendosi la porta dietro di sé.
Entro in cucina per cercare i due, e vedo Nash già alle prese dei fornelli.
Mi rattristo. Almeno oggi, volevo rendermi utile in casa.
Nash è sempre stato un talento a cucinare. Ricordo che quando andavamo alla scuola primaria , al ritorno mi fermavo a casa Allan e Nash, subito dopo essersi lavato le mani, preparava sempre qualcosa: torte, merendine fatte da lui, certe volte cucinava anche qualcosa di semplice per pranzo o per cena. Rimanevo sempre stupefatta.
Aveva una manualità in quel che faceva che mi sbalordiva.
Aron invece è sempre stato geloso. I due litigavano (e litigano tutt'ora) per tutto, letteralmente. Quando andavo a vedere qualche loro partita, li vedevo sempre in lontananza mentre si tiravano pallonate l'un l'altro, si offendevano a vicenda. Non so quante volte siano stati sospesi dall'allenatore. Quando Nash riceveva complimenti per ciò che cucinava, Aron non ci vedeva più per la rabbia tra un po'. Doveva sempre essere quello migliore, il fratello vincente.
Per questo non ha mai avuto amici: le persone lo odiavano.
Essendo competitivo, i bambini (e adesso anche i ragazzi) lo trovavano esuberante, cattivo. Non vedevano il buono che c'era in lui, le buone azioni che faceva. Per questo decisi di diventare sua amica.
Quando frequentavamo la materna ero ancora troppo piccola, non riuscivo a vedere quanto fosse o quanto si sentisse solo, per questo non gli parlavo molto. Quando invece cominciammo a frequentare la scuola primaria, un giorno lo beccai chiuso nello sgabuzzino dell'aula a singhiozzare perché era stato deriso dai suoi compagni di pallavolo. Non sono diventata sua amica per compassione, però dopo quell'accaduto cominciai a vederlo con occhi diversi: non lo consideravo più Aron Allan, il bambino presuntuoso e maligno, bensì Aron, il bambino che voleva solo qualcuno che lo capisse.
Nash quando lo vedeva triste, cercava di stargli vicino, di non farlo demoralizzare, però forse le parole che gli diceva finivano solo per scombussolare il gemello, e farlo sentire ancora più solo.
Ricordo un giorno, eravamo in mensa solo tutti e tre come sempre. Ci eravamo appena seduti per mangiare, fin quando Nash non ruppe il silenzio che si era creato.
"Aron, qui tutti i bambini ti odiano."
Rimasi di stucco. Non pensavo che fosse così sfaccettato, non curante dei sentimenti di suo fratello.
" E quindi?" rispose l'altro. Lo guardai con gli occhi sgranati.
"Nash, smettila. Anche se Aron è odiato da tutti, io e lui siamo amici. Anche le maestre ce l'hanno detto. Gli altri bambini sono tutti cattivi!" risposi io con gli occhi colmi di lacrime. Non volevo che Aron stesse male, per questo quando accadevano situazioni del genere in mia presenza, lo difendevo sempre. Volevo che fosse felice, che si sentisse meno solo. Era speciale, solo che gli altri non se ne rendevano conto.
Un giorno un bambino della mia classe mi iniziò a prendere in giro perché ero sua amica. Mi strappò tutti i fogli del mio quaderno. Giorno dopo giorno diventò un vero e proprio bullo.
Non lo dissi a nessuno. Ero imbarazzata. Io, che difendevo sempre gli altri, venivo presa in giro in questo modo da un bambino?
Aron se ne rese conto. In mensa andò da quel bimbo, da solo, e lo picchiò. Gli tirò un ceffone e da lì il poppante non mi derise più.
Aron imparò a comprendere i miei silenzi. Sapeva che non ero brava nel dialogare, per questo interpretava i miei momenti taciturni come se fossero dialoghi. Sapeva quando stavo male, però non me lo diceva mai. Non ha mai provato, neanche una singola volta, a mettermi a disagio.
Mi ha sempre incluso nei discorsi quando gli altri non mi consideravano.
Quando si trasferirono, pensavo che la nostra amicizia era giunta al termine.
Invece trovava sempre un'ora per chiamarmi. Quando non poteva, mi mandava degli audio che registrava durante il corso della giornata, per tenermi informata su ciò che gli accadeva, sulle esperienze che viveva, sulle cose nuove che scopriva. Mi mancava.
Sapevo che, nonostante la distanza, c'era sempre per me, però il contatto fisico, i piccoli gesti, mi mancavano troppo.
Quando ieri ci siamo finalmente reincontrati, nella mia testa non capivo più nulla. C'era solo un esplosione di felicità, gioia: finalmente la distanza è stata eliminata. Posso di nuovo abbracciarlo quando voglio, senza dover pensare a quando sarei potuta andare a trovarlo.
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the beginning and the end
Storie d'amoreLily è una quindicenne, nativa di un paese dell'Inghilterra. Dopo mesi si è finalmente decisa di andare a convivere con i suoi due migliori amici: Aron e Nash, gemelli. Arrivata lì, pensava che finalmente avrebbe potuto trascorrere un anno sereno c...