Capitolo 6

5 0 0
                                    

Circa un'ora dopo, si ritrovarono tutti sulla strada sotto casa. Eileen fu la prima ad arrivare: aveva legato i lunghi capelli neri in una morbida treccia, ma i ciuffi più corti continuavano a scivolarle dispettosi sulla fronte e davanti agli occhi, che brillavano di determinazione. Aveva cercato di trovare degli abiti che coordinassero con il giusto equilibrio comodità e decoro, arrivando ad indossare una leggera gonna di lino verde sopra un paio di pantaloni al ginocchio che riteneva molto pratici e confortevoli, ma troppo sciatti per essere indossati alla luce del sole. Sulla schiena le spuntava uno zaino panciuto di pelle e tessuto di canapa, probabilmente riempito con provviste e vestiti più pesanti e adatti per la sera, che la faceva apparire più mingherlina di quanto non fosse in realtà.
Niadh, vedendola lì così, cercò lo sguardo della madre, come a chiedere un sostegno che sapeva non avrebbe trovato. Non si preoccupò di nascondere un sospiro tanto inquieto quanto rassegnato quando gli parve di intravedere Melany arrossire come una ragazzina complice di una marachella, prima che lei si voltasse dall'altra parte con uno sballonzolare di riccioli bronzei.
Il giovane si era sistemato alla meglio: finalmente non era più cosparso di sudore, terra e polvere, si era cambiato in abiti leggeri in lino dei colori della foresta, aveva pettinato i capelli all'indietro e li aveva fermati con un drappo di un marrone sbiadito che gli nascondeva accuratamente la parte alta delle orecchie. Anche lui portava uno zaino piuttosto ampio, dove aveva riposto, tra le altre cose, anche l'uovo; dietro erano legati anche un arco leggero e una faretra. Appesi alla cintura, invece, teneva una saccoccia, una borraccia e il pugnale che lo accompagnava dal giorno prima. Poco dopo essersi affacciato dalla soglia della porta, senza dire una parola, tornò dentro. Quando uscì di nuovo, al fianco portava una spada corta dall'aspetto piuttosto povero. In un attimo piombò al fianco della sorella, che incespicò sulle mattonelle nel tentativo di scostarsi da lui, e le porse il suo pugnale.
«Tienilo tu.»
Eileen, corrugando la fronte, vide che era avvolto in una ricca fodera tinta di smeraldo con sottili rigature dorate, e qualche parte di lei si chiese se non fosse rubato da qualche nobile o agiato mercante. Riluttante, né afferrò l'elsa, borbottando un ringraziamento, e assicurò l'arma alla cintura, nascondendola sotto la gonna perché non desse troppo nell'occhio.
Alla fine, con stupore di Niadh, che non se lo aspettava davvero, arrivò trafelato anche Ethan: pareva già affaticato ancor prima di partire.
«Potrei riavere il mio medaglione?» domandò come prima cosa all'elfo mentre ancora riprendeva fiato.
Niadh notò che si stava fissando le scarpe e accarezzando le mani come se fosse intimorito. Con delicatezza, estrasse il medaglione con lo scoiattolo dalla tasca dove aveva riposto anche la misteriosa punta di freccia rossa cangiante e il medaglione con l'orso che apparteneva a Rainer.
«Come fai ad averlo?» chiese al ragazzo più giovane, mentre passava il pollice sugli inteagli del legno.
«È un regalo di mia nonna» rispose prontamente Ethan.
Niadh gli si accostò fino a coprirlo interamente con la sua lunga ombra. Gli afferrò il polso della mano sudaticcia, dove depose, quasi con solennità, il ciondolo.
«Non lo perdere e tienilo nascosto» lo ammonì gravemente. «Oggi già una persona ha perso la vita per aver avuto con sé un medaglione come questo.»
A quelle parole, finalmente Ethan alzò la testa, ma vide che l'altro, che lo superava in altezza di quasi due spanne, teneva il mento alto con lo sguardo perso verso l'orizzonte. Si sbrigò ad infilarsi il cordoncino con il medaglione attorno al collo, cercando di nasconderlo allacciandosi la camicia fino al bottone piu alto, che gli stringeva fastidiosamente la gola.
"Se me lo avesse detto prima, glielo avrei anche lasciato tenere per un altro po' di tempo" pensò.

Finalmente il gruppo partì, guidato da Niadh e seguito da qualche occhiata e domanda curiosa dei compaesani. Ethan e Eileen camminavano vicini confabulando tra loro, mentre Melany chiudeva la fila, sorridendo e fornendo vaghe spiegazioni ai vicini curiosi. Si inoltrarono nella foresta evitando la zona della barriera, dove Niadh sperava si trovassero ancora i loro inseguitori svenuti, e poi proseguirono senza particolari intoppi verso la baita di Bernard.
Mentre i ragazzi e Melany chiacchieravano attorno a lui, Niadh ad un certo punto smise di ascoltarli. Mentre la brezza si insinuava in ogni scorcio, lui smise ad un tratto di controllarla.
Mentre si avvicinavano alla baita, la sua mente si svuotò di tutto, tranne che di un pensiero: avrebbe dovuto confessare a Bernard la morte di suo figlio. Il vento si faceva più forte e scuoteva i rami più bassi, spogliandoli di alcune delle loro foglie più secche. Eileen faceva fatica a tenere gli occhi aperti a causa di tutta l'aria che le si scagliava sul viso. Era già arrabbiata, ma questo contribuì a farla irritare ancora di più.
«Niadh!» gridò, per sovrastare il frastuono causato dal vento. Vedendo che non si girava, gli corse dietro e lo colpì con una pacca non esattamente delicata sulla schiena.
Stavolta Niadh si girò, più pallido del solito, e il vento improvvisamente si placò, tornando ad essere quella leggera brezza rinfrescante che ormai anche ad Eileen stava diventando familiare.
«Scusate» biascicò lui, e riprese il cammino: ormai mancava poco. E infatti, dopo solo qualche altro minuto, si fermò in un punto che sembrava non avere niente di particolare.
«Siamo arrivati. Però è strano...»
«La casa è scomparsa nel nulla?» grugnì Eileen con tono seccato.
Niadh la ignorò e tornò pensieroso sui suoi passi, squadrando dall'alto in basso tutto il circondario.
«E va bene» sospirò alla fine. «Andate vicino a quel pino laggiù e non avvicinatevi a me per nessun motivo. Devo... aprire il passaggio, e potremmo farci male.»
Verificato che tutti gli avessero obbedito, il giovane elfo si avvicinò al larghissimo scheletro di un albero, che saliva verso il cielo con spogli e grigi rami contorti. Gli altri erano troppo lontani per capire esattamente quello che stava facendo, ma videro chiaramente quasi metà della parte bassa del tronco volatilizzarsi. Era rimasto così poco sostegno gli enormi rami storti sopra che una parte di Niadh si chiese come non gli stesse cadendo tutto quanto addosso.
«Venite!» chiamò in fretta, senza voltarsi, e gli altri lo raggiunsero curiosi.
Melany aveva un'espressione mista tra confusione, stupore e preoccupazione, che si aggravò quando notò che la mano di suo figlio stava tremando come una foglia nella tempesta.
«Vedete, qui sotto c'è il passaggio che porta al rifugio» spiegò, indicando una cavità scura che si era rivelata sul terreno che prima era racchiuso e protetto dal grande tronco cavo dell'albero. Sembrava una bocca scurissima pronta ad inghiottire qualsiasi cosa. Ethan deglutì rumorosamente.
«Se ci buttiamo giù da qui, c'è una caduta di tre o quattro metri prima di toccare di nuovo terra, quindi è meglio appoggiarsi ad una corda» disse, mentre ne srotolava una che aveva fatto comparire da qualche anfratto del suo bagaglio. La assicurò al fusto sottile ma forte di un giovane albero lì vicino, non fidandosi di come aveva ridotto lo scheletro del vecchio tronco cavo.
«Io scendo per ultimo. Non vi preoccupate, lì sotto è sicuro. Ed è illuminato, anche se da qui non sembra.»
Eileen sapeva che, per qualche motivo, doveva andare lei per prima. Sicuramente sarebbe dovuta scendere prima di Ethan per assicurargli che lì sotto non c'era niente da temere. E fece proprio così, tanto che Ethan si fece coraggio per seguirla subito dopo.
Melany, prima di aggrapparsi alla fune e calarsi giù, si fermò ad osservare i bordi di quell'enorme buco sul tronco cavo che Niadh aveva aperto per loro. Li sfiorò con le dita, e li trovò innaturalmente frastagliati e sgretolati. Dei frammenti più o meno grandi di corteccia si staccavano al solo tocco, come grani dalla sommità di un mucchio di semi. Sulla mano le rimasero delle tracce di una polvere finissima, che si trovava anche ai suoi piedi, malgrado fosse stata parzialmente sparsa in giro dalla brezza.
«Ho fatto finta di niente per tanto tempo, con te, e ne abbiamo pagato le conseguenze fino ad oggi» disse, con una certa gravità nella voce. «Non posso ripetere subito lo stesso errore. Che cos'è questo?» domandò al figlio, mostrandogli la polvere che le si era attaccata sulle dita. Poi, non ottenendo risposta, incalzò:
«Non mi sembra magia dell'aria o della luce. E non dirmi che hai bruciato la corteccia e questa non è altro che cenere, perché se fosse stato così me ne sarei accorta.»
Aveva sperato che si fossero detti ogni cosa, per un tempo troppo breve aveva creduto di aver finalmente conosciuto davvero suo figlio, dopo anni di segreti e maschere e prese in giro a sé stessa, ma lui le stava sicuramente nascondendo qualcos'altro. Questa volta non si sarebbe girata dall'altra parte.
Colpito dal suo tono deciso, quasi perentorio e velatamente accusatorio, Niadh si sentì come se avesse fatto un salto indietro di vent'anni, a quando era solo un bambino che vedeva nei propri genitori tutto il suo mondo. A quel tempo, se il piccolo Niadh combinava qualche guaio, la mamma in qualche modo lo veniva sempre a sapere: magari poi lei si arrabbiava, si preoccupava o rimaneva un po' delusa, ma solo allora, con il suo aiuto, tutto si risolveva davvero.
Forse, dopo vent'anni, le cose non erano cambiate così tanto.
«Hai ragione» ammise allora a bassa voce. Melany vide che la sua mano aveva ricominciato a tremare visibilmente, ma adesso anche la sua voce suonava incrinata.
«Non è fuoco... non è niente che io riesca a comprendere del tutto o a controllare. A quanto pare, ho imparato la magia degli elfi in un modo sbagliato. Questo è ciò che pensa Bernard.»
Rise amaramente, poiché faceva fatica a parlare.
«Fin dall'inizio, quando mi esercitavo a convogliare la luce, anche l'aria si spostava con essa, l'acqua evaporava, tutto il resto si polverizzava. Come se non riuscissi a percepire la differenza tra la luce e tutto il resto. Negli anni ho imparato ad agire selettivamente sull'aria o sulla luce, a far partire un fuoco dove voglio. Ma riguardo a questo...»
Si chinò per raccogliere qualche filo d'erba e stese il braccio per tenerli il più possibile lontani da Melany mantenendoli ben visibili.
«Un attimo prima qualcosa c'è, e l'attimo dopo non c'è più» sussurrò, mentre l'erba si sgretolava in milioni di granelli tra le sue dita tremanti.
«È una cosa che non capisco e mi spaventa, soprattutto perché...» disse, ma poi si fermò all'improvviso: aveva capito che, se avesse continuato, non sarebbe più riuscito a trattenere i singhiozzi che gli premevano pungenti in gola.
Melany pensò che sì, il potere che aveva appena visto era inspiegabile, sconosciuto è spaventoso, ma ancora più spaventoso era il fatto che Niadh non ne avesse potuto condividere il peso con lei.

Il servo [bozza]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora