Capitolo 12

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Aprii gli occhi lottando contro il dolore e lo stordimento.
Ero fradicia di pioggia, indolenzita e infreddolita, e ogni volta che tentavo di muovere gli occhi, la mia vista sembrava danzare in maniera innaturale. Avrei quasi preferito rimanere incosciente, per restare in quel piacevole oblio, ma sapevo che c’era qualcosa nel mondo, che attendeva me.
Quella consapevolezza si intensificò quando riuscii finalmente ad alzarmi in piedi e a schiarire la mia vista.
Non fu un miglioramento, perché il mio cuore perse un battito e io, dentro l’anima sentii qualcosa infrangersi.
Il dolore più forte che io avessi mai provato in vita mia, mi pervase seccandomi la gola e facendomi bruciare gli occhi di lacrime.

Di fronte a me, seduto a terra con la schiena appoggiata al muro c’era Robert.
Il suo capo era reclinato d’un lato e i suoi occhi erano chiusi come se dormisse beatamente.
Sapevo che non era così, perché una larga macchia scura si era allargata velocemente sul suo petto e il suo respiro sembrava inesistente.
"Robert!" Strillai gettandomi in ginocchio accanto a lui e scuotendolo, per quanto mi fosse possibile.
"Oddio…Oddio…" Continuavo a ripetere.
Con una mano tremante gli accarezzai il volto esanime, bagnato di pioggia.
I capelli erano incollati alla fronte e al viso pallidissimo.

Tentai di risvegliarlo con qualche schiaffetto, ma fu inutile.
Gli guardai il petto, inorridita.
Il manico del coltello d’argento gli spuntava dal torace.
Aveva scavato nel petto una profonda ferita, dalla quale scorreva copioso un fiotto di sangue che nell’oscurità del giorno ormai giunto alla fine, sembrava nero.
Non era morto.
Non era morto, altrimenti non avrebbe continuato a sanguinare.
"Robert, svegliati, ti prego. Sono Jackie."

Continuai con i colpetti sulle sue guance e quanto vidi la sua fronte aggrottarsi, quasi piansi per il sollievo.
Non lo feci perché comunque sapevo che non c’era nulla per cui essere sollevata.
"Jackie…" Mormorò con voce pacata, come se si fosse appena svegliato da un bel sonno ristoratore.

Quando ebbe ripreso del tutto i sensi, però, contrasse il viso in una smorfia di dolore che fece star male anche me solo nel vederla.
Guardò in basso verso il suo petto e cominciò a respirare affannosamente, quasi come me.
Sentivo la presenza dell’inalatore nella mia tasca, ma non volevo usarlo.
Non ero io che stavo male, bensì Robert.
Feci il possibile per ricordare gli insegnamenti del corso di pronto soccorso, il secondo anno. Chiunque lo faceva prima o poi nella vita, ma se fossi stata più attenta sarebbe stato molto meglio. Tentai comunque di rievocare la lezione nella mia testa.

In quel frangente però, la mia mente era davvero al limite della lucidità.
"Stai bene?" Mi chiese in un soffio.
Lui stava morendo e chiedeva di me!
Le sue parole diedero il via libera alle lacrime, che scesero velocemente sulle mie guance.
Sapevo che quell’atteggiamento non mi avrebbe portata da nessuna parte, ma non potei comunque impedirmi di singhiozzare, mentre accostavo la mano al manico del coltello.

"Sto bene." Risposi tra i singulti. Sfiorai l’arma e la impugnai, facendo il possibile per non farlo soffrire troppo.
Probabilmente intuì cosa stavo per fare, perché lo vidi contrarre i muscoli della mascella e chiudere gli occhi.

Quando estrassi l’arma dal suo corpo si lasciò sfuggire un gemito di dolore, che si trasformò presto in un colpo di tosse.
All’istante gli posai un palmo sulla ferita, comprimendo più che potevo e ignorando sia la stretta al cuore che provavo, sia le mie difficoltà respiratore.
Dovevo salvarlo, altrimenti non sapevo come avrei potuto vivere.

"Ce l’ho fatta, Jackie. L’ho battuto." Mormorò debolmente, mentre il suo petto si alzava e si abbassava in maniera malsana.
Contro la mia mano sentivo scorrere il sangue, che usciva velocemente nonostante cercassi di impedirlo.
"Sei stato bravissimo, ma è meglio se non parli."
Che cosa si faceva in circostanze simili? Che cosa?
Nessun film lo diceva con esattezza.

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