VII. Anima

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I cambiamenti spaventavano Zayn da morire, eppure trascorse quel primo mese con la sua solita algida tranquillità, facendo le sue cose ogni giorno con la stessa rigorosa precisione, senza cambiare nulla delle sue solite abitudini.

Però, ne aveva aggiunte delle altre. Come le chiacchere con Louis sulla strada di casa e le riunioni del venerdì sera, subito dopo la passeggiata con Maverick. In altre invece si erano verificati dei cambiamenti, come la sua espressione all'entrata di scuola che si era trasformata da un cipiglio serio a uno sguardo tranquillo e i muscoli erano rilassati, non più contratti e sulla difensiva.

Zayn continuava a osservare il mondo con il suo sguardo incredibilmente colorato e profondo, eppure aveva anche iniziato, a sprazzi, a rivolgerlo anche verso sé stesso e riconoscere che anche lui stava uscendo da quella triste nube di grigio che lo aveva imprigionato per tutta la vita.

Ovviamente non era successo tutto d'un tratto e niente era già concluso e riuscito, aveva ancora moltissima strada da fare, ma la consapevolezza sfuggevole di essere riuscito a fare quel diavolo di passo verso il mondo che tutti ormai smettevano di augurargli, era per lui la più promettente delle vittorie.

C'era ancora qualcosa che poteva migliorare, qualcosa di egualmente difficile rispetto allo studio del cinese o della pratica del violino, ma mille volte più gratificante dal momento che l'aveva rincorso per tutta la vita, arrivando persino ad arrendervisi davanti a un certo punto.

Zayn non aveva mai pensato a se stesso come a uno che avrebbe potuto interagire con le persone e partecipare attivamente in un gruppo, attirando gli altri verso di sé e tenendoli lì, fermi, sulle spine e interessati a ciò che lui aveva da dire, a ciò che lui era.

In quelle ultime settimane aveva fatto i suoi passi, senza spingersi troppo oltre i suoi modificabili ma tenaci limiti, prendendosi tutto il tempo di cui aveva bisogno perché sentiva che a quei ragazzi non sarebbe importato e avrebbero capito il suo bisogno senza che lui gliene parlasse, con quelle conversazioni mute che facevano i loro sguardi e i suoi gesti, alle emozioni che trasmettevano le espressioni del volto e le luci vive e turbolente che illuminavano di vivida giovinezza le loro iridi, senza però rendere tutto effimero e senza importanza.

In quel pigro pomeriggio della domenica, mentre le sue sorelle erano fuori con loro madre e suo papà era come sempre chiuso nel suo ufficio, Zayn si era seduto alla scrivania con l'intenzione di dipingere.

Il disegno era una delle tante arti e discipline che sviluppava, ma la sola in cui riuscisse a lasciare un pezzo di sé in ciò che faceva, disperdendo polveri del proprio essere sotto il nero tracciato della punta di una mina.

Zayn scolpiva a fondo le proprie emozioni in quei singoli solchi sulla carta che per molti non sarebbero stati altro che linee, ma in cui lui vedeva qualcosa di più. La sua stanza era disseminata di copie di dipinti di ogni epoca realizzate da lui, con colori acrilici, olio o del semplice carboncino. Esisteva sempre la tecnica migliore per rendere ogni opera e Zayn perseguiva questa convinzione con fiducia, realizzando svariati schizzi finché non trovava ciò che era meglio.

Il foglio bianco era davanti allo sguardo attento del ragazzo che lo fissava nella speranza di vedere l'immagine distaccarsi da quel mare di luce ed emergere con forza davanti alla sua mente, cosicché lui potesse imprimerla per sempre su quella superficie e abbandonarla in uno stato di totale vulnerabilità allo sguardo di tutti coloro che la avrebbero vista e rovinata con la loro attenzione troppo superficiale per poter valorizzare ciò che il foglio mostrava.

Tutto ciò che gli saltava all'occhio, però, erano macchie di colore, confuse e sovrapposte, che scaturivano da un punto vicino al centro del foglio e si diramavano come una macchia, mescolandosi e arricchendosi, formando sfumature e contrasti.

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