PROLOGO

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JUNGKOOK'S POV

Pur non essendoci mai stato, mio padre mi aveva creato un'infinità di problemi. Ciononostante, se quel giorno non l'avessi sorpreso a scoparsi la segretaria sul mio letto, forse Taehyung non l'avrei mai conosciuto.

"Il più grande imprenditore di Busan". Tutte le testate giornalistiche lo definivano così. Parlavano di lui e lo idolatravano come se fosse da ammirare, come se fosse un esempio da seguire e non un emerito bastardo che aveva rovinato la mia vita e quella di mia madre.

Non era mai a casa. Era sempre fuori città, una volta per un convegno importante, l'altra volta per una riunione a cui non poteva assolutamente mancare.

Non rinunciò mai al suo lavoro nemmeno quando fui io stesso a chiamarlo in lacrime pregandolo di raggiungermi perché mi mancava, perché con niente riuscivo a sopperire la sua assenza.

"Sono impegnato Jungkook, ho tanto lavoro da fare, ma ti prometto che tornerò presto. Ricordati che il papà ti vuole bene". Gli ho sentito ripetere questa frase fino a farmi sanguinare le orecchie, intanto che il mio cuore si crepava sempre di più alla consapevolezza che neanche quella sera e la sera dopo ancora, sarebbe tornato a casa a darmi un bacio sulla fronte e rimboccarmi le coperte.

Realizzare che a mio padre non fregasse niente di me fu peggio di qualsiasi altro dolore avessi mai provato, perché lui continuava ogni volta, ad ogni telefonata, a dirmi che mi voleva bene, e io volevo crederci, volevo davvero farlo, però lui non riuscì mai, nemmeno un singolo momento, a dimostrarmi che fosse effettivamente così.

Mai una parola dolce, mai un abbraccio o un bacio di conforto, mai una pacca sulla spalla. Erano sempre e solo regali, cianfrusaglie, cose materiali che non riuscivano in nessun modo ad eguagliare il valore che avrebbe avuto la sua presenza nella mia vita.

"Non arrabbiarti piccolo mio, il papà fa tutto questo per noi, per non farci mancare niente". Era vero, materialmente non ci mancava niente. Tutto quello che volevamo ce lo veniva consegnato sotto il naso semplicemente con uno schiocco di dita.

Un puzzle perfetto, indistruttibile, apparentemente intoccabile, ma c'era qualcosa che mancava, un tassello importante, quello fondamentale.

L'unico pezzo che io e mia madre non saremmo mai riusciti a comprare con i soldi e che purtroppo apprendemmo non ci era mai appartenuto.

Quel giorno ero rincasato prima. La maestra delle ultime ore era assente per colpa di alcuni problemi di salute e l'insegnante della prima ora ci concesse il permesso di tornare a casa.

Ero euforico, non vedevo l'ora di rintanarmi nella mia cameretta per finire di leggere la storia che avevo lasciato in sospeso la sera prima. Mi ero precipitato su per le scale come un fulmine, avevo atteso un secondo prima di aprire la porta e poi abbassai la maniglia.

Forse quella notte avevo dormito poco, forse gli allenamenti di calcetto erano stati così intensi da farmi avere le allucinazioni. Forse l'immagine di mio padre che si scopava un'altra donna sul mio letto era solo una proiezione mentale, un brutto scherzo della mia testa.

Vorrei non averlo mai fatto. Vorrei non aver mai aperto la porta. Vorrei non aver mai dovuto vedere colui che mi aveva messo al mondo scoparsi la sua fottuta segretaria. La dolce e indifesa Jieun, la donna che mia madre aveva accolto tante volte in casa nostra offrendole il thè, raccontandole, pur non dandomelo mai a vedere, quanto le mancasse il marito.

E lei la consolava, le diceva di non preoccuparsi, che l'agenzia stava attraversando un momento difficile e che i dipendenti avevano bisogno della guida ferrea del loro capo.

Our stupid Love Bet || TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora