VII

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°°°

Sai, ultimamente mi sono trovato a pensare... ma no; non è un'idea nata poi così di recente.

È un pensiero che ho da tanto, in verità; se tornassi indietro di qualche migliaio di pagine, forse potrei ritrovare la prima volta che ho osato metterlo su carta.

Ad occhio e croce, direi che devono essere passati almeno un paio di secoli; da quando Soho ha cominciato a diventare Soho, e le strade e i mattoni hanno cacciato lontano l'erba.

Perché, vedi, quando ho scelto questo posto, lo avevo immaginato circondato da un giardino.

Non le fioriere nobilitate, i quadratini di terra calpestata che al giorno d'oggi chiamano giardini; ma un bel parco da vera residenza inglese, con boschetti e prati, e un orto, e un roseto, e uno stagno con giunchiglie e anatre, e macchie di rovi e biancospino e caprifoglio; e un frutteto, anche.

Certamente, Londra ha dei giardini meravigliosi. St. James conserverà sempre un posto speciale nel mio cuore.

Ma...

Vedi; amo questa città, amo la libreria.

La amo anche di più dopo aver temuto che non l'avrei più riavuta indietro; da quando è diventata il centro di questo strano mondo, che ci è stato tolto e poi restituito da un bambino.

La amo da quando hai iniziato a entrare liberamente e senza invito.

Forse è solo che ho cominciato a sognare un posto che non abbia con sé ricordi dai bordi bruciati; che non abbia gli strascichi di una vita passata.

Forse è che vorrei un posto in cui vederti crescere e fiorire.

Forse, già dalla prima volta in cui, quasi senza saperlo, ho cominciato a immaginare un posto dove fermarmi (un posto per te) (un posto per noi); forse mi sarebbe piaciuto un posto in cui alla mia biblioteca risponde il tuo giardino, in cui poterti vedere camminare a piedi nudi sull'erba.

Forse mi piacerebbe un posto non lontano dal mare; un posto da cui sentir cantare gli uccelli, un posto dove poterti prendere la mano e dire, vieni, usciamo a guardare le stelle.

°°°

Muriel prese l'ultimo libro e inspirò profondamente.

Ora che era arrivata quasi alla fine, si sentiva stordita dalla cavalcata: una pagina dopo l'altra, una vita che non era la sua si espandeva nel suo petto come lo scoppio di una stella.

E la sua poltrona in fondo alla libreria sembrava davvero il centro di un'esplosione, con decine di volumi accatastati tutto attorno: i diari di Aziraphale, scritti nel corso di centinaia di anni.

Le prime note erano sobriamente concise, quasi cronache militari, in tutto simili agli ordinati resoconti che arrivavano in Paradiso.
Presto però erano sbocciate in divagazioni sempre più articolate, in lunghe riflessioni, piccoli aneddoti che potevano avere importanza solo per la persona che teneva in mano la penna.

Dalle pagine aveva iniziato a emergere, sempre più distinta, la voce di Aziraphale; vivacemente appassionata di ogni cosa, a tratti brillantemente arguta, perfino pungente, vibrante di una alata libertà che Muriel non gli aveva mai conosciuto.

E molto presto, fra le righe aveva fatto capolino qualcuno che sulle prime Aziraphale non osava neppure nominare, nascondendolo dietro l'anodina iniziale C.

Nel volgere dei secoli, come inchiostro da un calamaio rovesciato, quella singola lettera aveva continuato a spandersi fino a prendere possesso di ogni pagina; Crowley era diventato l'ispirazione, l'oggetto, e infine il destinatario di quelle che erano vere e proprie lettere.

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