2. Hyper-Wormhole

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I tempi in cui l'Accademia Inframondi faceva viaggiare i suoi dipendenti a sue spese erano finiti da un pezzo: chi voleva fare il supervisore di un pianeta, doveva raggiungerlo con mezzi propri.

Il trasferimento era un dettaglio che non avevo considerato, quando avevo deciso di adattarmi ad uno stile di vita frugale e incerto, pur di scalare le liste di attesa.

Mi muovevo sempre a piedi o con i tram a induzione magnetica, non possedevo un'astronave, e di certo non disponevo di soldi a sufficienza per comprarne una.

L'unica alternativa sembrava il trasporto pubblico.

Quando raggiunsi la stazione dell'Hyper-Wormhole, il luogo era gremito di gente, e puzzava di sudore, di olio motore e di squirlush avariato.

Tuffarmi in quel mare di individui mi ricordò perché desideravo così tanto lasciare il pianeta.

Inserii i dati relativi alla mia destinazione nel navi-robot della biglietteria, un modello obsoleto con il logo HW ormai sbiadito dal tempo e una ventola di raffreddamento talmente rumorosa che a stento ne distinguevo le parole. Fortuna che aveva anche un piccolo schermo.

Quando le cifre baluginarono su di esso, rischiai di sentirmi male: l'ammontare era pari quasi al totale del mio conto in banca. Mi sarebbero rimasti giusto i fondi per uno sluddorz al banco, all'arrivo.

Al diavolo, pensai, l'avrei rimpinguato grazie al mio compenso.

Pigiai il pulsante "sola andata" sul petto dell'androide. Quest'ultimo biascicò qualcosa di incomprensibile a proposito di cambi e destinazione finale, ma io lo ignorai, fendendo la folla fino a un tubo vuoto, mentre appuntavo al petto il biglietto appena acquistato.

Accanto a me, un'anziana mi sorrise. «È la tua prima volta, figliolo?»

«Si vede così tanto?» replicai, vagamente irritato.

«Meglio se tieni...» iniziò lei, ma prima che potesse terminare la frase, il sistema venne attivato.

La mia interlocutrice venne risucchiata verso il basso, e un istante dopo toccò a me.

Il flusso ipermagnetoionico mi catturò, e i miei arti, improvvisamente molli, presero ad agitarsi tutt'attorno, indipendentemente dalla mia volontà.

Ovunque sfrecciavano altri passeggeri, tutti con le estremità ben aderenti al corpo.

Cosa che, ormai, io non potevo più fare: laddove gli altri si dirigevano, dritti come missili, alle loro destinazioni, io fluttuavo scompostamente in giro, roteando su me stesso.

Lo stomaco mi si rovesciò, e cominciai a mordermi la lingua a sangue per lo sforzo di non vomitare.

Ad ogni snodo, una IA scandagliava i chip contenuti nei biglietti di ciascun utente, e li indirizzava nelle direzioni corrette. Ogni cambio mi faceva accelerare di colpo, creandomi un vuoto nella pancia che acuiva il senso di nausea.

Fu senza dubbio il viaggio più lungo della mia vita, nonostante l'Hyper-Wormhole consentisse di percorrere svariati anni luce in pochi minuti.

Quando venni finalmente catapultato fuori da quell'incubo, caddi oltre il tubo, lungo disteso per terra, il corpo che fremeva, momentaneamente incapace di rispondere ai comandi.

Non esattamente l'esordio di missione che mi aspettavo.

Ma le sorprese erano appena cominciate: interrogando un navi-robot di alcuni decenni più giovane del precedente, scoprii di aver sbagliato stazione.

O meglio: con il ticket in mio possesso, quello era il punto più lontano che potevo raggiungere.

La mia destinazione era così remota da non essere servita da una linea HW.

Avrei dovuto controllare meglio.

Sconfortato, mi sedetti sulla gradinata esterna, sforzandomi di mantenere la calma e non cedere completamente al panico.

Ero solo, distantissimo da casa e senza un soldo. Cosa potevo fare?

«Forse io posso aiutarti.»

Guardai ad occhi sbarrati l'autore di quella proposta.

«Ho ascoltato per caso la conversazione. Si dà il caso che io possa darti uno strappo sulla mia nave.»

Studiai attentamente lo sconosciuto di mezz'età, sorridente e di bell'aspetto. Il mio istinto mi diceva che non era il caso di fidarsi, ma che alternative avevo?

Accettai.

Il campanellino che già era risuonato nella mia testa divenne una sirena d'allarme, quando vidi con i miei occhi ciò che lui chiamava "nave": un cargo merci di almeno duecento anni, roso dalla ruggine e chiaramente tenuto insieme solo dalla determinazione del suo proprietario.

«Sicuro che vola davvero?» chiesi.

***

In realtà, il viaggio fu piuttosto confortevole.

Il capitano mi diede perfino la possibilità di fare una doccia, per togliermi di dosso la puzza di vomito. Fu un piacere rilassarsi sotto il getto d'acqua, dopo tutte quelle vicissitudini.

Solo mentre mi asciugavo notai una sospetta lucina gialla sul soffitto della cabina.

Quando chiesi delucidazioni, il mio ospite si strinse nelle spalle.

«Serve a filmarti.» ammise, candidamente.
«Come, prego?»
«Ti stupiresti di scoprire quanto è disposta a pagare certa gente, per un video di bei giovani che si lavano.»
«Sta scherzando?»
«Su, su... non farla tanto lunga: nessuno fa niente per niente. Vedilo come il prezzo della traversata.»

Stavo per rispondergli per le rime, ma l'altro mi prevenne: «guarda: siamo arrivati.»

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