6. Uno di loro

30 6 23
                                    

Non saprei cosa dire a proposito della mia prima esperienza con la dematerializzazione quantistica (ciò che i profani chiamano tuttora "teletrasporto").

Semplicemente, ad un certo punto smisi di essere a bordo della stazione spaziale, e mi ritrovai in un vicolo umido e maleodorante. In un primo momento, pensai addirittura che si trattasse di un ologramma ad alta definizione; solo quando mi resi conto di percepire anche gli odori, capii di essere fisicamente altrove.
Per fortuna, i sensori della mia tuta mi rassicurarono sul fatto che l'atmosfera fosse respirabile.
Ne fui così sollevato da dimenticarmi di aver letto, studiando per l'esame, che la dematerializzazione quantistica era vietata sugli esseri viventi, in quanto la percentuale di morte in seguito agli errori di trasmissione era ancora superiore al 3%.

«Missy, riesci a sentirmi?» tentai, ben sapendo che la radio a corto raggio incorporata nel mio equipaggiamento non avrebbe mai potuto raggiungere la stazione orbitante.

«Monitoro costantemente l'intero pianeta, ciccio.» mi arrivò invece, a sorpresa, la voce della bambina. «Non potrei evitare di sentirti nemmeno se lo volessi. E in effetti, ti avevo cacciato proprio per non doverti più ascoltare!»
«Dove sono finito?»
«Sul pianeta. Nella città dei locali che poco fa osservavi dagli schermi.»
«Riportami subito indietro!»
«Scordatelo!»

Ancora una volta, il comportamento della IA mi lasciò interdetto. «Come sarebbe? Non puoi rifiutarti di obbedire a un ordine diretto!»

«Guarda un po'? L'ho appena fatto!» Concluse la ragazzina, facendo seguire alle proprie parole una fragorosa pernacchia.

«Non vorrai davvero lasciarmi qui!»
«Sì, invece. Finché non ti scusi... O non mi è passata.»

Controllai ai due lati della stradina benché, in caso di incontro con un indigeno, avrei avuto ben altre preoccupazioni che la vergogna di quanto stavo per dire.

«Scusa.» Mormorai, cercando di assecondarla. «Mi dispiace. Va bene?»
«Proprio per niente! Non ti senti affatto in colpa, lo dici solo per tuo tornaconto! E, dato che non mi piace farmi prendere in giro, da questo momento in poi ti ignorerò.»
«Stai scherzando, spero!»

Silenzio.

«Non puoi lasciarmi qui!»

Silenzio.

«Missy? Missy!»

***

Non potevo rimanere inerte ad aspettare i capricci di una ragazzina offesa.
Dovevo reagire!
Con un po' di fortuna, forse sarei riuscito a trovare un modo per contattare Capitan Sporcaccione, e farmi venire a prendere da lui. Un brivido fastidioso mi percorse la schiena, mentre mi interrogavo su cosa avrebbe preteso in cambio stavolta.

L'imperativo era camuffarsi. La mia tuta possedeva, allo scopo, un valido dispositivo di mimetica olografica: veniva utilizzato per non spaventare gli animali, in caso di pianeti già colonizzati. Portandomi fino al bordo del vialetto, usai uno scanner tascabile per analizzare le fattezze dei passanti, e lasciai che il congegno facesse il resto.

Per fortuna, anche quelle creature erano bipedi e non avevano proporzioni troppo diverse dalle mie, cosa che mi avrebbe reso più facile ingannarle.

Preso un bel respiro, mi tuffai tra la folla.

Fu come immergersi in una rievocazione storica della nostra civiltà, alcune migliaia di anni prima. Gli alieni viaggiavano su buffi veicoli dotati di ruote, trainati da animali o alimentati dalla combustione. Le strade erano di terra battuta, rischiarate da lanterne penzolanti da pali in legno. Le case erano a più piani, scure, di pietra.
E tutti sembravano avere una fretta del diavolo. Si affaccendavano sui marciapiedi come insetti impazziti, o si accalcavano creando ingorghi con i loro improbabili mezzi di trasporto.

Decisi di camminare sul ciglio della via, per evitare il più possibile di mischiarmi alla massa indaffarata e vociante che si affollava sui marciapiedi, e accesi il comunicatore universale, un aggeggio progettato per analizzare e riprodurre linguaggi sconosciuti.

Nessuno badava a me: gli alieni parlavano in continuazione ma, a quanto pareva, solo con esemplari che conoscevano già.
Era una vera fortuna che l'idioma locale fosse composto in buona parte da vocalizzi, piuttosto che da gesti: il dispositivo sarebbe stato in grado di riprodurlo alla perfezione. Purtroppo, però, era necessario del tempo per analizzarlo.

Ero così impegnato ad evitare un mucchietto di sterco, di certo prodotto da quei buffi quadrupedi dalle zampe sottili che gli indigeni utilizzavano per il traino, da non rendermi subito conto che un abitante si stava rivolgendo a me.

Stavo per farmi prendere dal panico, quando notai che stringeva tra le mani una sigaretta: voleva solo che gliela accendessi.

Sorrisi. Com'erano arretrati!

Mi sembrava impossibile che, un tempo, anche i miei antenati avessero fatto uso delle più svariate sostanze, perfino quando erano consapevoli della loro nocività.

Cavai di tasca il mio kit portatile multiuso, premetti un pulsante e liberai una fiamma lunga un dito, porgendola al fumatore.

Solo quando vidi stupore e terrore negli occhi di quest'ultimo, mi resi conto della leggerezza che avevo commesso.

 Solo quando vidi stupore e terrore negli occhi di quest'ultimo, mi resi conto della leggerezza che avevo commesso

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.
PRIMO INCARICODove le storie prendono vita. Scoprilo ora