𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟔

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Le bacheche in sughero, i corridoi tappezzati di armadietti, volantini di regolamento scolastico e calendari delle attività in corso: lo schiamazzi dei studenti della Saint Rose che disseminavano ogni angolo della struttura con la loro esuberanza pubescente fece fare un tuffo nel passato ad Hanna in tempi che le parvero davvero lontanissimi.

«Buongiorno detective.» la dirigente del liceo le fece un gran sorriso facendola entrare nel suo studio, molto illuminato e discretamente ampio, tutto rigorosamente bianco ed un contrastante pavimento in legno rovere.

«Buongiorno dottoressa. Spero di rubarle poco tempo, come le avevo accennato per telefono si tratta di una vostra ex alunna: Margaret Shallet. So che è stata convocata due anni fa per presentare un progetto letterario che aveva organizzato l'istituto.»

Rosita Placido era una donna particolare o almeno Hanna la ritenne tale, una di quelle persone che avrebbe visto meglio alla direzione di una casa di moda. Forse perché l'edificio oltre il suo ufficio presidenza versava in una certa anonimità che la stanza in cui stavano in quel momento appariva estranea al resto: c'era dello stile e della cura nei dettagli, non troppo marcato ma neanche difficile da trascurare.

La dottoressa Placido stessa mostrava con una certa disinvoltura un certo outfit che differiva dal resto del corpo docenti e dei membri che componevano l'istituto. Velatamente ricercato, ma senza troppa presunzione.

«Margaret... si ricordo. Una brava allieva. Molto disponibile.» mormorò la dirigente con espressione assorta «Faccio fatica a pensare che una ragazza così... abbia avuto un tragico epilogo.»

Hanna si sistemò sulla sedia offertole «Le spiace se registro?»

«No, non mi disturba affatto.»

«Perché pensa ciò?»

«Due anni fa, quando ha collaborato con noi per quel progetto, l'ho vista tranquilla, è sempre stata molto riservata e pacata, ma mai che potesse dare segnali di un atto simile. È anche vero che potrebbe esserle successo qualcosa nel tempo... ma...»

«Ma?»

«Non so... lo trovo molto strano.»

«Come mai avete deciso di chiedere la sua collaborazione?»

«Si era sempre dimostrata brava nella materia di letteratura, molta fantasia ed amava con passione il genere. Non potevamo trovare un aiuto più valido di lei.»

Hanna annuì. «Quali erano i suoi professori? Era "affezionata" a qualcuno di essi in particolare o lei sa se avesse un gruppo di amici con cui si vedeva spesso?»

«Alla professoressa di lettere. Parlava molto spesso con lei, le spiegava i suoi progetti e del suo sogno di scrittrice: la professoressa Gottardo. Lei stessa ci ha consigliato lei per il progetto. Si sentivano ogni tanto anche dopo il suo diploma. Vuole il suo contatto?»

«Non c'è oggi?»

«È andata in pensione qualche anno dopo il diploma di Margaret.»

«Ah, in tal caso, assolutamente. Gli altri insegnanti di quella classe sono ancora attivi? Sono disponibili a darmi una piccola testimonianza, nei limiti delle possibilità. Mi rendo conto che siano passati un po' di anni...»

«È rimasto attivo solo il professore di chimica, Philipe Ofman. Se non sbaglio penso che la troverà nell'aula insegnati, ha un'ora buca.»

Hanna attraversò in silenzio i corridoi deserti dell'istituto: la ricreazione era finita e gli unici a passare davanti alle porte delle aule, erano i sorveglianti e qualche studente che con la scusa del bagno ne approfittava per gozzovigliare in giro.

L'aula insegnanti era una stanza con finestre alte, bianca anch'essa, ma tristemente sguarnita. Un grande e lungo tavolo centrale, diverse sedie da ufficio e qualche armadio e scrivania isolata munita di computer.

In una delle sedie presenti, a capo tavola, sedeva un uomo distinto e sportivo al tempo stesso, capelli brizzolati e corti intento a guardare lo schermo del suo tablet. «Professor Ofman?»






«Accidenti...» Hanna stava rimuginando sulle parole del professore, mentre si rigirava il contatto telefonico della ex professoressa Gottardo.

Si morse il labbro, ciondolando appena sulla sua sedia da ufficio e smise sentendo il cigolio del perno centrale della seduta: rischiare di rompersi l'osso sacro in un momento simile non era assolutamente il caso. I suoi occhi scuri guizzarono sulle varie cartelle che aveva deciso di tenersi da parte per trovare l'ingranaggio che le mancava.

Erano fascicoli di casi analoghi di suicidio e sentiva la necessità di fare dei confronti per annotare altri punti di vista: Hanna non se la sentiva di rassegnarsi all'idea che Steve avesse concluso l'indagine trascurando i dati che lei aveva raccolto sul campo e che lui invece si era limitato a trascrivere quel poco di intuibile da una scrivania.

Strinse le labbra in una linea dura e sbuffò interamente: abbandonare proprio in quel frangente un caso che avvertiva molto più complesso del previsto non se lo sentiva proprio. Sentiva di doverlo a Margaret Shallet e chissà quante altre "vittime" di superficialità chiuse e classificate come "semplici suicidi" c'erano nell'archivio.

Ne aveva trovate altre due che avevano particolarmente catturato la sua attenzione: Sara Fausti ed un Fred Ich. C'era un dettaglio che univa questi tre soggetti che la incuriosì, continuando a farle spuntare l'eterna domanda se fosse un caso.

Un ciondolo a forma di girasole scisso a metà che riportava sempre il medesimo messaggio: you are my sunshine.

Ma in ogni caso nessuno si era soffermato nel dettaglio, forse perché non era poi così importante, eppure nella sua mente non poteva evitare di notarlo e pensarci.

Sospirò e scosse il capo. Si volse verso il suo telefono d'ufficio ed alzò la cornetta digitando un numero: il suo capo le aveva detto no, ma era intenzionata a raggiungere il fondo della questione per dare un senso vero al suo mestiere.

Il telefono suono quattro squilli. «Pronto, chi parla?»

«Buongiorno, sono la detective Hanna Style. Cerco la signora Gottardo.»

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