𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟒

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«Ti devo la vita, Mary...»

«Mhm, lo so.»

Dopo il seguito di una lunga chiamata e la proposta di Marilena di fermarsi per la notte da lei e compensare gli altri chilometri che attendevano Hanna alla sua abitazione, la detective si sedette con aria stanca sul divano dell'amica e con altrettanta energia emise un sospiro.

«Dimmi che in sei tornata indietro dopo la nostra chiamata per prendere un'altra razione di lasagne...» le domandò Marilena sbirciando dentro i pacchetti della trattoria che Hanna si era portata con sé.

«Perché? So che piacciono anche a te.»

«Ma non quelle di una trattoria... il ragù è pessimo, sa di bestia in maniera vergognosa.»

«Ohssy scusami. Non ho valutato i tuoi gusti sofisticati.»

Marilena azzardò un breve sorriso con aria civettuola «Spero sia ironia la tua.»

«Non saprei...» risero entrambe. Ridevano spesso per sciocchezze che solo loro due capivano.

«Smettila di provarci con me offrendomi roba scadente e dimmi come procede il caso.»

«Credo che ci sia qualcosa di losco sotto. Non ne ho la certezza, ma penso che sia così... domani mattina, in ufficio contatto gli istituti dove ha svolto gli studi.»

Marilena la raggiunse con due piatti con le porzioni di lasagna appena riscaldata al microonde ed una forchettina per ciascuno. «Addirittura? Io pensavo che un caso di suicidio fosse più semplice... va a vedere che è stata assassinata.»

Hanna scosse il capo mentre inforchettò un pezzo di cibo «È l'unica cosa che posso escludere. A prendere la lametta è stata lei e nel suo appartamento non sono stati rilevati altre impronte, né di scarpe né biologiche o quant'altro.»

«Accidenti...» mormorò la corvina con aria sbigottita «Non so come fai a fare un lavoro simile... io sarei uscita di testa.»

Hanna annuì distrattamente per poi disincantarsi dal pensiero che le si era fissato in mente «Cambiamo argomento va, che di cadaveri proprio non ne posso trattare in questa circostanza. Parlami di te, avevi un sacco di cose in ballo da fare e poi non mi hai detto più nulla!»

Marilena Icarius era una giovane ragazza poco più grande di lei, minuta, esile e dai tratti delicati e sofisticati. Un po' altera ed eterea, suggerito dallo sguardo chiarissimo e dal modo con cui era avezza a squadrare le persone al primo sguardo.

Hanna non sapeva il motivo per cui fossero diventate amiche, ma doveva ammettere che era quel genere di persona che solitamente non avrebbe frequentato, eppure sembrava riuscire a trovarsi incredibilmente bene con lei, con i suoi modi un po' snob, un po' ambigui e a volte esagerati.

Marilena aveva origini francesi eppure sapeva appena tre frasi in croce. Fin dalla prima volta l'aveva sempre vista con un taglio corto dei capelli corvini, dai riflessi color nocciola ed una frangetta maniacalmente sistemata, ma mai troppo per evitare che si ungesse, a furia di ritocchi con le dita.

Non era una di quelle ragazze esageratamente truccate e se si truccava era molto abile nel non farlo notare.

«Ho trovato lavoro nello studio di ingegneria della Cristy, in pieno centro Barely. Metto in affitto questa catapecchia e mi trasferisco nell'appartamento più vicino allo studio.»

Hanna sgranò gli occhi «Catapecchia?»

Style sapeva bene, ma come chiunque, che la sua amica non proveniva da una famiglia di ceto medio: tutto nel suo modo di fare, di vestire e parlare trasudava una certa abbondanza che non era da semplici impiegati o operai come la sua. Tantomeno quell'appartamento da cento metri quadrati, moderno, provvisto di terrazzo e panorama sulla città che si illuminava in lontananza, poteva essere definito catapecchia.

«Beh... diciamo che non rispecchiava perfettamente le mie idee.» si giustificò distrattamente lei, morsicando la forchetta. «Saremo più vicine!» disse di punto in bianco con entusiasmo, verso Hanna.

«Questo si!»



L'ufficio quella mattina era più caotica e disordinata del solito ed Hanna lo reputò anonimo come sempre, caratterizzato dalla monocromia del beige e le sue sfaccettature senza sapore.

Le pareti, agli angoli erano in preda a ragnatele abbandonate dai ragni e lasciate lì col compito di acciuffare la polvere che si depositava.

Il suono ripetuto della stampante era quello dominante, assieme al ticchettio ritmico della tastiera dei computer. Era uscita, da quello che riteneva lei stessa, il suo buco nel seminterrato per fare delle fotocopie e cercare il capo ufficio, infatti lo vide, ma le passò svelto accanto senza darle nemmeno il saluto.

«Style, un caffè per favore.»

«Signore, volevo avvisarla che dovrei uscire per registrare alcune testimonianze riguardanti Margaret Shallet.»

«Quel caso l'ha chiuso un suo collega. Mi faccia il solito caffè macchiato.»

Quella risposta fu al pari di una secchiata d'acqua gelata che la immobilizzò sul posto. «Come chiuso...?»

Ma l'uomo non la badò minimamente e tirò dritto verso Miller, un suo collega, molto più stimato di lei, che godeva della considerazione di mezzo ufficio.

«Signore...?» Hanna non aveva intenzione di mollare e lo seguì velocemente «Non può essere chiuso, dalle testimonianze...»

«Style, cosa dovrebbe esserci più del semplice fatto che una disgraziata si sia fatta di dulossetina ed altri antidepressivi e si è ammazzata.» rispose secco lui voltandosi con blanda irritazione «Ed ora mi porti il caffè e queste fotocopie per le azioni giudiziarie.»

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