Capitolo 14

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"Ragazzi c'è una tigre in bagno.
Non ci credo.
Ma ragazzi vi dico che c'è.
Guardo adesso...
È vero porca troia c'è una tigre in bagno.
O mio dio"
(Una notte da leoni)

POV: RICCARDO

Sono un idiota!

Non riesco a capire. È stata colpa mia se Rebecca ha avuto un attacco di panico?

Non ho mai visto nessuno tanto spaventato, tremante e vulnerabile. Mi sono sentito impotente, non sapevo minimamente cosa fare per aiutarla. Menomale che c'era Mel. 

Quante volte in passato nella mia mente si è formato questo pensiero? Forse più di quanto io ed Ethan siamo disposti ammettere. Ogni volta che uno di noi combinava un casino o si faceva male, lei riusciva a mantenere la mente lucida e il sangue freddo, nonostante fosse più piccola di noi.

Io mi sono sempre agitato davanti ai problemi. Anche prima, mi sono spaventato tantissimo. Forse ho fatto qualcosa di irrimediabile e terribile, scatenando qualcosa dentro Rebecca.

Accidenti sto per laurearmi in psicologia, dovrei sapere come gestire questi episodi. E invece sono andato in tilt! Sono un coglione.

Ho trovato quel laser nel sacchetto delle patatine, ci stavo giocando come un bimbo. Appena entrato nel corridoio, nonostante fosse affollato di studenti, nonostante Mel mi stesse parlando, l'ho vista subito.

Rebecca stava camminando lentamente, i capelli fluenti legati con una coda e i leggings a fasciarle le gambe. Veniva verso di me, ma non mi aveva minimamente visto.

É stato istintivo, volevo solo.. non lo so cosa volessi..  che mi notasse?

E invece ho fatto una cazzata.

Mi sento così in colpa, mentre resto immobile al suo fianco, la mia mano appoggiata sulla bassa schiena. Spero in qualche modo di darle conforto, ma sono completamente inutile.

Il silenzio si è insinuato tra di noi, avvolgendoci e facendoci dimenticare del rumore della vita universitaria.

Lo sguardo basso  e fisso sul pavimento, due ciuffi di capelli neri, scappati dalla coda. Due ciocche, una coperta che la nasconde dal resto del mondo.

Solleva la testa, come se avesse percepito i miei occhi su di lei. I nostri sguardi si incrociano, il buio delle sue iridi mi ingoia.

« Mi dispiace» diciamo all'unisono. Lei sospira, i suoi occhi scivolano di nuovo sul pavimento e si porta una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

«Non ti scusare, non voglio farti pena » Non riesce a guardarmi in faccia, sembra così delusa. « Io non voglio la compassione degli altri».

Non capisco cosa stia dicendo. «La mia non è compassione». Pronuncio quelle parole a denti così stretti che ho paura possano spezzarsi. Le unghie affondano nei palmi delle mani, ma alla vista dei suoi occhi velati leggermente dalle lacrime tutto il mio nervosismo svanisce.

Mi passo una mano tra i capelli, per togliermi il ciuffo dal viso. Mi accorgo che è un gesto che faccio spesso, per tranquillizzarmi, come una carezza che mi faccio da solo.

«Ascolta, la mia non è compassione, preoccupazione forse e sicuramente senso di colpa ».

Alza un sopracciglio. « Perché  dovresti sentirti in colpa, scusa? »

« Sono abbastanza sicuro di essere stato io con il laser a farti avere quell'attacco di panico. Mi dispiace non immaginavo che..».

«Riccardo no! Non è stata colpa tua» Mi interrompe. La sua mano si posa sul mio braccio. È lei che sta cercando di tranquillizzare me?

Oltre le nuvoleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora