Capitolo 7

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"Vivo la mia vita un quarto di miglio alla volta. 

Non mi importa di nient'altro.

Per quei dieci secondi io sono libero."

Vin Diesel

POV: RICCARDO

Sono completamente concentrato, lo sguardo fisso sulla strada mentre il rombo del motore mi vibra in tutto il corpo. Stringo forte il volante e affronto la decima curva a sinistra. Sento i muscoli delle braccia tirarmi, mentre cerco di tenere la macchina in pista.

L'adrenalina si impadronisce di me quando supero i 300km/h nel rettilineo. Più veloce, ancora più veloce, ancora un po' finché non sento quel brivido familiare. Allo scalare delle marcie in un secondo i muscoli del collo cercano di resistere alla pressione centrifuga del tornante. Un secondo dopo sono già rilassati almeno fino alla curva successiva. Sfreccio sulla pista e il rumore della vettura diventa un grido disperato. Mi sento dentro l'occhio del ciclone. Il cuore mi rimbalza all'interno della gabbia toracica come se volesse sfondarla. Il mio sguardo è focalizzato davanti a me, mentre tutto il resto della mia visione periferica si confonde. Forme, profili, colori è tutto mescolato. Riesco a distinguere solo la prossima curva.

Come ogni volta che corro perdo il contatto con tempo e spazio. Non mi trovo più in pista, ad Imola e nemmeno sulla terra. Sto volando, mi sto dirigendo in un'altra dimensione, sto diventando un tutt'uno con la velocità.

Il  battito cardiaco rimbomba nelle mie stesse orecchie e la mia mente si annebbia. Resto lì nel limbo, al confine con la realtà per un tempo indeterminato.

«Ultimo giro» la voce del mio capo squadra mi penetra nelle cuffie. Dalla mia mente riaffiora uno stato di coscienza. Gli ultimi 4,909 km mi sembrano infiniti anche se la mia velocità è rimasta costante.

Il cuore mi sale in gola e torna giù quando freno, fermandomi ai box.

Impiego qualche minuto per riacquistare coscienza del mio corpo. Rilasso i muscoli e mollo il volante, aprendo e chiudendo le mani per alleviare le dita indolenzite. Scendo dalla vettura e appena i miei piedi toccano terra mi assale il senso di vertigine. Prendo un respiro profondo e provo a placare l'adrenalina ancora in circolo.

Faccio appena in tempo a riacquistare l'equilibrio che mi vengono subito incontro Alberto e Luca.

« Come l'hai sentita?» Alberto mi supera e pone l'attenzione direttamente sull'auto. Luca mi passa una borraccia, mi tolgo il casco e la afferro prima di rispondere ad Alberto. « Bene. Era salda. Come tempo di accelerazione ci siamo e credo anche come spazio di frenata »

Alberto annuisce e mi liquida, cominciando a controllare la macchina. È a capo del gruppo meccanico da anni e ormai lavoriamo da un po' di tempo insieme. Di solito comunichiamo bene, ma è sempre più interessato alla vettura che al pilota.

« Bevi, devi idratarti ». La voce di Luca è autoritaria, mi da una pacca sulla spalla e io prendo un lungo sorso d'acqua. Detesto il sapore di quest'acqua, percepisco tutti i sali minerali sulla lingua. Fa schifo, ma devo berla per forza dopo gli allenamenti e le gare. Mi sforzo di finirla tutta sotto lo sguardo di Luca.

È giovane, avrà circa trentacinque anni, ma è lui a coordinare la mia equipe medica. Spesso lo detesto perché mi dice cosa e quando mangiare, bere, allenarmi, riposarmi e dormire. Insomma, coordina la mia vita come un dittatore del benessere, eppure ho trascorso così tanto tempo con lui da considerarlo un amico ormai.

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