07. Such a Waste

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- Augustus Logan - 🫀

Sono così ubriaco che non riesco nemmeno a salire le scale per il piano di sopra. La vista si fa nitida, la testa vortica e il mondo sembra nient'altro che cenere intorno a me. Inciampo poco prima di afferrare la maniglia.

Pietoso. Sono solo uno spreco, papà ha ragione. E la verità è che io nemmeno dovrei essere qui. Non dovrei respirare.

In qualche modo mi trascino come un verme fino al letto. Mi stendo, lasciando ricadere lo sguardo a vuoto per quella che è la mia stanza da ormai cinque anni. La odio, così come questo posto. È tutto vuoto, insapore e privo di vita.

Sul mio comodino c'è un piatto in vetro con della coca, o almeno credo sia coca, forse MDMA. Le mura sono invece tutte sporche di vino, Bourbon e birra. Sbatto le ciglia, le labbra increspano. A terra ci sono ancora i cocci in vetro dell'altra sera. Immagino di essermeli provocato così i tagli nelle mani. Non ne ho idea, ho ricordi confusi. Succede sempre quando perdo il controllo.

D'un tratto il cuore accelera. Inspiro, espiro. La realtà mi travolge. Perché riesco a sentirlo? Quel dolore acuto e il torpore irruente? Spiegatemelo per favore, spiegatemi come posso uscire dal mio corpo e vivere in un altro multiverso, uno in cui Summer è ancora con me.

Per qualche strano scherzo del destino, le mie dipendenze non funzionano più come prima, il che è alquanto deprimente. Una volta mi bastava una sbornia o qualche cazzata con quei coglioni di Damon e Isaac per sfogare la rabbia, mentre ora... Ora sono fottuto.

Una risata isterica si impossessa di me. Nascondo sotto l'involucro del nome come porto nient'altro che un ammasso di immondizia. A volte sono talmente malridotto che mi domando se io sia sempre stato così. Il vuoto che riempio con alcol mi impedisce di ricordare le poche cose che mi rendevano felice. È come se il tempo fosse demolito, sostituito da giornate soffocate in un opprimente infinito.

Alzo l'avambraccio, col pollice traccio il tatuaggio, uno dei pochi che ho. Sorrido, non rendendomi conto di come una lacrima mi cade lungo la guancia.

«Chissà cosa penseresti se fossi qui» sussurro arrochito. Diresti che ti ho delusa.

Nessuna risposta.

Gli occhi di Summer mi fissano. Sono dolci, sinceri e forti. Lei era la mia roccia, la colla che mi teneva ancora unito alla mia famiglia. Ma la sua vita non è sempre stata facile. Ancora ricordo il mio decimo compleanno. Era il sedici agosto e come sempre eravamo nella nostra residenza estiva dal valore di due milioni di dollari, quella negli Hempton. Faceva così caldo. Sapete, una di quelle tipiche giornate afose in cui la pioggia sembra non voler proprio arrivare.

«Augustus ti ho detto di andare a studiare!» urlò contro di me. Pareva stanca, lo confermavano le grandi occhiaie. Chissà da quando non dormiva.

Ribattei incredulo. «Ma mamma! Oggi è il mio compleanno.»

«È un giorno come gli altri e io non ho tempo per le tue stupidaggini. Ho una bambina neonata i cui pianti non mi danno pace.»

Dalla nascita di Autumn mamma era più strana del normale. Stava tutto il giorno a letto. Diceva che il suo corpo era rovinato per colpa nostra. Non la capivo. Non avevamo scelto noi di venire al mondo, non era colpa nostra se eravamo nati.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime. «Mi avevi promesso una festa e la torta con le candeline.»

Si portò innervosita una mano alle tempie. «Non te le meriti. Sei la vergogna di questa famiglia. Lo sai quanto abbiamo pagato per farti passare l'anno alla DuCasse? Ringrazia Dio per i tuoi zii, se non fosse per loro non saresti entrato in nessuna scuola d'élite.»

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