CAPITOLO 12

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“Forse è la cosa più divertente che vedremo in tutta la nostra vita” esultò Clint all’orecchio mio e di Nat, mentre Stark convinceva Steve Rogers, il grande paladino della giustizia e delle buone maniere a farsi fare il tatuaggio anti possessione da quell’omone tutto barba e piercing che i fratelli Winchester erano riusciti a racattare da chissà quale squallido posto.
“Devo proprio farlo?” continuava a dire il grande coraggioso uomo tutto muscoli e siero del supersoldato.
“Avanti Cap non avrai mica paura” lo guardai alzando un sopracciglio mentre il suo perfetto sedere d’America si poggiava sulla sedia del tavolo preparato perfettamente per l’intervento chirurgico che doveva sembrargli.
“Oh ma dai ti sei fatto bucare da aghi ben più grandi da mio padre e mica ti sei lamentato” lo stuzzicò Tony.
“Era per una giusta causa”
“Beh immagino che farti friggere il cervello non basti come causa” si unì al coro per deridere Steve anche Dinozzo.
Dean aprì la bocca per dire qualcosa ma Rogers alzò una mano per fermarlo.
“D’accordo, ho capito” disse il buon samaritano alzando una manica della maglia attillata che continuava a ottenere occhiate da tutti i presenti, uomini o donne.
“Tranquillo, non le farò male. Può farmi una foto signor Stark? Mentre tatuo Captain America” il tatuatore allungò una mano verso Tony, porgendogli il telefono.
“Cavolo Dave, pensavo fossi io il tuo preferito. Ti lascerò una cattiva mancia” gli disse mentre l’uomo procedeva  a mettersi dei nuovi guanti in lattice e a sistemare l’involucro di plastica attorno alla macchinetta.
“L’avete visto?” sussurrai a Nat e Clint ancora di fianco a me, che si godevano di gusto la scena, tra cui il lieve balzo che fece il torturato quando il ronzio della punta iniziò a farsi sentire, amplificato dal bunker stesso. O forse era solo Steve che lo sentiva il triplo di quello che fosse.
“Nemmeno Gibbs ha fatto tutto questo baccano Rogers” lo incalzò Dean.
“Si beh, lui è più vecchio di me, ricordatevelo”
“Non ci posso credere! Leroy Jethro Gibbs ha appena fatto una battuta?” lo derise Tony battendo le mani .
“Si non ti esaltare troppo, capita di rado” McGee ricevette un’occhiata fulminante.
“Appunto”.
Fece ridere tutti. Non una risata forzata o una di quelle che si fa in circostanze in cui si ride per non deludere chi ha fatto la battuta. No, una risata vera. Ed era bello condividerla con un gruppo di persone così diverse eppure così uguali tra loro. Avevamo tutti dei traumi, chi più di altri, e tutti avevamo un modo diverso di esternarli.
Potei notare subito come Gibbs lo faceva, mentre sistemava la crema cicatrizzante che il tatuatore aveva portato per curare il tatuaggio sul braccio di DiNozzo. Quei ragazzi erano la sua famiglia, erano i suoi figli. Li amava come fossero suoi, ma sapeva che non poteva avere la presunzione che lo fossero, anche se loro stessi lo consideravano come una figura paterna. Per questo li lasciava scegliere, li lasciava sbagliare, li lasciava soffrire ed imparare da quella sofferenza. E non potevo fare a meno di pensare che quello che stavano per affrontare fosse una sbaglio che avrebbe distrutto il cuore di qualcuno. Non potevo sapere se fosse una sensazione data dalla mia parte angelica o umana, ma sentivo che qualcosa non andava, che qualunque cosa ne fosse scaturita qualcuno in qualche modo avrebbe perso.
Continuammo il giro di tatuaggi e quando toccò a me mi sedetti sulla sedia più tranquilla che mai. Mi misi di lato in modo da appoggiare il braccio al tavolo, e che l’artista potesse avere il mio avambraccio verso l’alto, fermo e pronto per l’ago.
“Lo vorrei qui” gli dissi sorridendo.
“Si signora”.
Quell’uomo mi ispirava fiducia, e non solo perché oltre ad aver attraversato le barriere del bunker, e aver superato l’acqua santa e la nomina della famigerata parola, ma  anche perché la mia abilità speciale mi diceva che quelli erano due stupendi occhi vispi e castani di un uomo di mezza età che era sinceramente giusto.
“Vado?” mi chiese dopo aver rinnovato la procedura standard  di cambio guanti ecc.
“Affermativo”
“Non sei in missione Leila, anche un semplice sì andava bene” ora l’oggetto delle prese in giro ero io, ma andava bene, tutti avevano preso la propria dose da chi li conosceva meglio, o anche da chi no. Risposi con un bel dito medio. Insomma quella sarebbe stata davvero la cosa più divertente della nostra vita. Tatuaggi e alcool appositamente comprato dai Winchester per affievolire i nostri spiriti irrequieti.
Quando l’ago colpì la mia pelle non sentii nient’altro che un pizzicorio.
L’unica cosa che stava diventando sempre più fastidiosa era il ronzio che mi procurava la vicinanza dell’oggetto. Cercai di non farci caso, ma divenne sempre più insistente, tanto che pensai di fermarmi qualche minuto. Poi capii che non era normale. Non avevo mai fatto un tatuaggio ma potevo intuire che quello non era il rumore che di solito si dovrebbe sentire, nemmeno se mi stessi facendo un disegno dietro l’orecchio.
La stanza iniziò a traballare lentamente. Vidi un uomo in piedi nella stanza del tavolo interattivo, che mi guardava. Aveva capelli corti e color biondo cenere, occhi azzurri con un neo sotto quello sinistro. Bocca minuta e un naso aggraziato, con due rughe di espressione ad incorniciarli. Portava una maglia marroncino chiaro con sopra una camicia blu slavata e un paio di jeans.
Mi venne un senso di inquietudine così potente che la mia pelle dovette avere la pelle d’oca, perché sentii Dave dire di avvertirlo se mi stava facendo male. Ma ormai non sentivo né più il ronzio della macchinetta né il pizzicorio dell’ago.
L’uomo alzò la mano e mi fece uno spavaldo ciao con essa. E come arrivò, scomparve.
Chiusi le palpebre e subito tornai in me. Dave aveva smesso di lavorare all'interno del mio avambraccio.
Lo guardai, e guardai tutti gli altri con due occhi che dovettero spaventare anche loro. Li sentivo. Aperti, spalancati dall’inquietudine e dalla paura.
“Lo hai visto, non è vero?” mi chiese Sam. Non ebbi nemmeno la forza di rispondergli a voce, ma annuii e basta. Sam e Dean si scambiarono qualche occhiata preoccupata ma non potevano dire nulla a riguardo per la presenza del tatuatore ignaro dei fatti. Per Dave lui era approdato lì per avere l’opportunità di lavorare sugli Avengers e, in cambio di qualche extra in più naturalmente, anche su qualche sconosciuto inaffidabilmente ambiguo sulla propria vita. 
Sicuramente dirgli la verità lo avrebbe fatto sprofondare in un dedalo di pazzia che avrebbe contagiato chiunque lui avesse incontrato e a cui avesse raccontato tutto. Era inutile dilagare il panico. Ma Dave dopo qualche decina di minuti se ne andò insieme a Dean, che si offrì di accompagnarlo dove lo aveva trovato, in modo che Sam ed io potessimo parlare.
Ci sedemmo tutti al solito tavolo, che sembrava esser diventato la poltrona per qualche studio psicologico, con i bicchieri di Whiskey di fronte ad ognuno di noi. Dovevo ammetterlo, quella gente ci teneva a farsi valere anche sotto quel punto di vista.
“Spiegami cosa hai visto” mi disse pacato Sam, con una nota di compassione nella voce.
“Toglila” lui mi guardò confuso “il tuo tono di pietà. So gestire quello che ho visto. Ma non l’occhiata che ti sei scambiato con Dean, come se aveste già visto questa cosa”
Mi guardò con determinazione, sospirò e si mise a soggignare “questa tua capacità mi inquieta” Iniziò a raccontarmi di quello che gli era successo anni fa. Il loro destino Lucifero-Michele, l’apocalisse, il suo tornare senza anima, le visioni che il demone continuava a fargli avere solo per costringerlo a dire di si, lui che ha detto di sì, il suo sacrificio.
Onestamente non sapevo cosa dire, nessuno di noi sapeva cosa dire.
Dall’espressione di Natasha capii cosa stava pensando. Avevamo vinto battaglie e salvato il mondo, ma anche loro erano eroi. Eppure non avevano ricevuto nulla in cambio. Nessun riconoscimento, nessuna ricompensa, niente. Mi promisi che se quella storia fosse finita nei migliori dei modi, avrei dato loro una somma decente per vivere senza ricorrere ai trucchetti che Dean mi aveva detto di dover fare per mangiare. E una medaglia per il coraggio e le vite salvate. Il mondo non era pronto per conoscere quel genere di pericoli, a malapena ci erano riusciti con gli alieni e Dei.
“Cazzo” dissero in coro diversi di noi.
“Ok ora chi è che sta avendo pietà di me?” mi sorrise.
“Dunque tu credi che Lucifero stia facendo esattamente la stessa cosa con Leila?” gli chiese Nat preoccupata.
“Non credo, è così” qualcosa nel modo in cui lo disse mi fece rabbrividire. La sua sicurezza.
“Fantastico! Ora oltre agli accoltellamenti si prende gioco di te!” mio marito non era proprio entusiasta di quella scoperta.
“Devi ricordarti, è importante, che lui non può fare nulla. È solo una proiezione, non può attaccarti se non mentalmente”
“Ma questo non significa che sia meno pericoloso” capì Gibbs. Quell’uomo aveva un forte intuito.
“Già. qualunque cosa lui ti dica, qualunque cosa tu dovessi vedere, o sentire, non devi dargli ascolto. Sono solo illusioni. Ma se dirai di sì, sei finita”
“Ma non ci siamo fatti questi per impedirgli di entrare e prendersi casa?” lo interrogò Cap, probabilmente irritato di aver pastrocchiato il suo bellissimo corpo per nulla.
“Si, dovrebbe essere. E in teoria lui non ha nemmeno bisogno del consenso per possedere un corpo, essendo solo un demone, ma potrebbe manipolarti per fare qualcosa. Se ti tagliassi sul sigillo, distruggendolo, equivarrebbe a togliere un pezzo di vernice da uno stesso simbolo sul pavimento”
“Non capisco se questi essere sono estremamente intelligenti o incredibilmente stronzi” se ne uscì DiNozzo.
“Entrambi temo” gli rispose Clint.

Dopo quell’episodio la vita divenne abbastanza noiosa all’interno del bunker. Studiavamo e leggevamo tomi enormi, facevamo pratica con i coltelli e le armi di ferro e ogni tanto mi allenavo con Maze, Nat e Steve. La demone ci andava giù pesante, non avevamo un minimo di pietà, ma nessuno di noi le diceva di rallentare. Una nuova minaccia equivaleva a nuove sfide, e non potevamo permetterci di essere presi alla sprovvista da disonestà e trucchetti. Tecniche che i seguaci di Lucifero, o qualunque fosse il suo vero impronunciabile nome fosse, avrebbero usato senza ritegno.
Il team dell’NCIS era dovuto tornare a Washington per qualche giorno, dopo che avevano ricevuto una preghiera dal loro direttore per risolvere un caso complicato. Dean e Sam avevano lasciato loro carta bianca, chiedendo di essere discreti e assolutamente cauti, e nel caso di un incontro ravvicinato con forze non terrene, la promessa di chiamarci subito. Non volevano che il nostro nemico si scatenasse sui nostri nuovi amici per piegare noi, o meglio, me.
Il mio Tony aveva persino prestato loro il suo elicottero per arrivare prima a destinazione e non farsi ore di auto. Ovviamente aveva spiegato a Mcgee come pilotarlo, se così si può dire, considerando che faceva tutto Friday.
Dal giorno della visione Lucifero non si era più fatto vedere. Sam mi aveva spiegato che probabilmente faceva tutto parte di un suo scaltro tentativo di farmi credere che quella fosse solo una cosa da una botta e via, ma che al primo momento di debolezza sarebbe tornato più agguerrito che mai.
D’altra parte in me si faceva sempre più profonda la sensazione che qualcosa sarebbe andato disfacendosi molto velocemente e molto presto, che una valanga avrebbe trascinato qualcuno in un buco nero di disperazione.

La figlia del DiavoloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora