CAPITOLO 13

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Il mio corpo era immobile, fermo nella sua incredulità per tutto ciò che era accaduto un paio di giorni prima, come un fulmine inaspettato mentre dormi. Nulla di tutto quello stava davvero accadendo, continuavo a ripetermi in testa, quando nel mio cuore sfociava un dolore che faceva male, più male di una coltellata.
Sentivo gli occhi di quei nuovi e vecchi amici che sembravano cercare di sorreggermi, come se da un momento all’altro potessi cadere, ma non sapevano. Non avevano idea, che in realtà io ero vuota dentro di me. Poteva sembrare che mi muovessi, che parlassi, che stringessi quelle mani e quelle spalle in strette di mano e abbracci, ma i miei occhi non lacrimavano, la mia voce non usciva. Facevo tutto con l’insistenza di un automa, il chiaro riflesso di un’armatura di Stark che si specchiava in quel placido lago. Sentivo la mia coscienza rumorosa come un’orchestra, tentavo di assopirla strangolandola, ma non ci riuscivo. Se solo fossi stata attenta, se solo avessi ascoltato il mio intuito che mi gridava di quello che stava per accadere. Forse avrei impedito tutto quello, e sarebbe davvero stato tutto un brutto sogno.
Avevo la testa che girava come se fossi ubriaca, come se il piccolo armeggio in legno stesse danzando su onde altissime.
Caddero due grosse lacrime su quelle travi, mentre le spine della corona di fiori mi perforavano la pelle.
L’appoggiai sulla superficie dell’acqua e alzai gli occhi al cielo, mentre le increspature si dileguavano verso l’ignoto, così come lui aveva fatto per colpa mia.
Mio padre, il Diavolo, dietro di me, mi strinse la spalla dolcemente addolorato, per darmi forza. Mi aveva assicurato che sarebbe andato verso la città argentea, ed ero felice di sentirlo, una piccola consolazione. 
Le persone iniziarono a darmi spazio, a dileguarsi in quel cottage che tanto me lo ricordava, in mezzo al bosco, in riva ad un lago.
Io rimasi ferma lì, ad osservare la corona di fiori colorati che piano piano andava a largo, vedendola sfumare tra le lacrime che ora scendevano copiose sul mio volto, sicure di non essere scrutate da altri occhi oltre ai miei. Lui era l’unico che poteva vedermi piangere, e sarebbe sempre stato così, ed io, io non mi sarei mai permessa di tradirlo, non dopo quello che gli avevo fatto.
“Mi dispiace, Tony” a sentirmi dire quelle parole, con una voce rotta, scoppiai in un pianto disperato, accasciandomi e singhiozzando tra le mie ginocchia.

48 ORE PRIMA

Dean e Sam avevano ricevuto una soffiata su una possibile  ubicazione di Lucifero, così erano andati a dare un’occhiata portandosi dietro gli Avengers rimasti nel bunker e Castiel. Erano genuinamente felici di poter avere una mano dopo molti anni a dover ormai contare solo su loro due.
Doveva essere notte fonda quando il team dell’NCIS si era ritirato nelle loro camere. Tra quelle mura, concentrati a salvare il mondo e portare la nostra missione a termine, era facile non percepire più lo scorrere del tempo. Talvolta lanciavo fugaci occhiate all’orologio che Gibbs aveva al polso, e mi sorprendevo spesso nello scoprire quello che indicava.
Stark si alzò e ci disse che sarebbe andato a farsi una doccia calda e rilassante, lasciando me e l’agente da soli a bere dai nostri bicchieri di Whiskey.
Ripensai a quello che mi aveva detto Ziva, al fatto che potessi aprirmi con lui, che sapesse ascoltare, ma non sapevo da dove iniziare. Tra me e Tony non occorrevano parole, ci capivamo a sguardi, e quando serviva conversare le frasi uscivano da sole come un fiume in piena. Con Nat era la stessa cosa, ma provare a parlare ad uno semisconosciuto di cosa provassi e quali muri questi sentimenti avevano rotto o eretto, era tutto un altro conto.
“Quando smetterai?” mi chiese. Mi colse impreparata, persa nel cercare di aprire una conversazione non avevo percepito il suo attacco.
“Di fare?” ero consapevole di cosa intendesse ma non era carino ricordare a tutti che sapevo che cosa le persone pensassero o capissero di me.
“Di essere così dura con te stessa”
Lo guardai sorseggiando un po’ del liquido ambrato, rimanendo in silenzio e pensando a come rispondere. Avevo due strade: quella gentile, e quella stronza.
“Quando lo farai tu” ecco avevo deciso di farlo arrabbiare. Mi diedi dell’idiota appena pronunciai quelle parole. Non volevo avere un po’ di appoggio da lui?
Sorrise, scuotendo la testa e bevendo anche lui un sorso. Era il suo primo sorriso sincero da quando lo conoscevo, sembrava che quelle mie maniere burbere gli piacessero, probabilmente perché erano così simili alle sue. Gli piaceva giocare con ossi duri, finalmente aveva qualcuno degno di nota. Ma sapeva anche che fosse una facciata, lo aveva appena detto.
“Io non mi reputo un mostro per ciò che è mio padre” aggiunse poi, spiazzandomi.
“Allora sei bravo anche tu a capire le persone senza l’uso di un file sul computer”
“Ti devi arrangiare con quello che puoi, se odi quegli affari”
Stavolta sorrisi io. Era così diverso da Stark, eppure in me sentivo un profondo e innocente affetto per quell’uomo. Niente di eclatante, ma sembravamo sincronizzati sulle stesse lunghezze  d’onda.
“Furbo, volevi che ti studiassi in quella stanza. Non ti fidavi delle mie capacità?”
“Volevo vedere fino a che punto saresti arrivata”
“Allora era un test. L’ho superato?”
“Non è per questo che mi vuoi parlare”
Il suo andare dritto al punto giusto mi dava un senso di conforto. Sembrava sapere cosa dire in ogni situazione, persino quando avevo perso le staffe e l'avevo minacciato. Mi studiava di continuo, e certo questo non nascondo che creò in me un po’ di soddisfazione, in quanto significava che mi temeva.
“Non siamo così diversi. Non è vero?” lo stuzzicai.
“Non si sta parlando di me” mi guardò dritto negli occhi senza spostarli mai, senza cambiare espressione. Iniziavo a sentirmi vulnerabilmente capita, e non mi piaceva.
“Che vuoi che ti dica? Scoprire che sono la figlia del Diavolo mi ha fatto capire molti miei comportamenti che avevo sempre reputato normalmente insani, mentre ora so che sono il frutto del male, che io sono il frutto del male. Ho fatto tante cose Gibbs, cose molto” mi fermai per cercare una parola che non mi mettesse così tanto in cattiva luce da fargli pensare che fossero fuori dalla legge, anche se non era così stupido da non sapere che fosse così.
“Discutibili, persino per il mio lavoro. Come potrei non sentirmi un mostro?”
“Tutti facciamo cose poco legali nella vita, dipende per cosa le facciamo” ci lessi quello che voleva che leggessi tra le righe. Alzai un sopracciglio e mi parve di sentirlo sospirare.
“Ho ucciso l’assassino di mia moglie e mia figlia” già, come pensavo.
“È diverso. Lo hai fatto perché avevi perso la tua famiglia, io l’ho fatto per soldi, per dovere”
“Non pensare che non abbia colpe, che non mi senta in colpa” aveva nuovamente centrato il punto.
“Non credo tu sia il tipo da sentirti in colpa per una vendetta. No, ti senti in colpa non perché l’hai fatto, ma perché hai dovuto farlo”
Lo vidi abbassare lo sguardo, quando lo risollevò nei suoi occhi vedevo lacrime trattenute e un vuoto che aveva nascosto da settimane dopo quel piccolo sfogo con mio padre.
“Se non fossi” gli si ruppe la voce per un attimo, e sentii che il muro che avevo eretto per impedirmi di provare emozioni stava subendo delle crepe. Per quanto non volessi ammetterlo, ormai quelle persone erano entrate nel mio cuore, piano piano.
Si schiarì la voce con una smorfia di dolore “se fossi stato a casa, se non fossi partito loro sarebbero vive. Ma dovevo farlo, sai perché?”
“Perché sei un Marine” gli dissi.
“Sono morte per cosa sono. Tutti facciamo degli sbagli che ci portano sensi di colpa, ma fidati di uno che continua a nascondersi dietro alla freddezza, non c’è una buona vita su questa strada”
“Non servirebbe dirti che non è colpa tua vero?” una lacrima mi scappò da un occhio, e persino lui parve accorgersene, ma non lo fece notare.
“Così come non serve dirti che non sei un mostro solo perché sei la figlia del Diavolo”
Sorrisi nuovamente.
“Avresti un’altra opinione su di me se Lucifer ti avesse detto che le tue ragazze non si trovano in Paradiso, ma nel suo regno. Mi avresti odiato, avresti tentato di uccidermi e non di aiutarti”
“Non incolpo qualcuno per il padre che hanno. E sinceramente non incolpo nemmeno lui per essere quello che è”
“Oh mio Dio, stai dalla sua parte?” saltai quasi sulla sedia per quella rivelazione, bevvi il Whiskey che mi rimaneva d’un fiato e lui mi imitò.
“Ho letto molto”
“Già, l’ho notato”
“Le persone che ti stanno accanto ti vogliono bene, vogliono vederti felice, devi fidarti di loro, mettere la tua vita nelle loro mani” buttò di lato la testa e allargò le mani “non solo in battaglia”
“Come tu fai con la tua squadra”
Annuì “non sempre lo ammetto, ma non tenerli troppo distanti da te, sono la tua forza non la tua debolezza”
“Mai pensato di cambiare lavoro?”
Sorrise di gusto “psicologo?”
“No pensavo di più a qualcosa tipo cambiare quell’agente speciale, in agente segreto. Potrei mettere una buona parola con quel brontolone di Fury. Sarebbe divertente vedervi bisticciare”
Si versò altro liquore nel bicchiere, e si alzò per venire a servirmene anche a me.
“Mi dispiace ma ho già la mia famiglia”
In quel momento sentii un qualcosa dentro di me, un profondo bisogno di una cosa, una cosa che avrei tanto voluto arrivasse da quel padre ritrovato, ma che ora potevo avere solo da quell’uomo. Non che Stark non me lo avrebbe dato, no, sarei stata bene tra di lui, ma Gibbs era diverso, non provava amore per me, magari un po’ di terrore, ammirazione e un pizzico di bene, ma non era altro che un collega, un amico.
Di scatto mi alzai, e lo feci. Lo abbracciai come non avevo mai abbracciato nessuno, a parte Tony, stringendogli il petto e mettendo la testa sotto il suo collo, aspirando il suo profumo a pieni polmoni e chiudendo gli occhi, sperando di non averlo infastidito, lui che era così simile a me da esserci una buona probabilità di averlo fatto.
Mi aspettavo che si togliesse, che mi scostasse, invece con mio grande stupore, percependo che ne avessi bisogno per iniziare a lasciarmi andare con chi dovevo fidarmi, appoggiò la bottiglia sul tavolo e mi strinse a sua volta con entrambi le braccia. Mantenne la sua testa sulla mia, e nessuno dei due si accorse che Tony era fermo a fissarci asciugandosi i capelli con l’asciugamano.
“Se volete vi lascio un po’ di tempo da soli” disse stizzito. I miei sensi fecero le capriole, sentendo rabbia arrivare da lui.
Un comportamento strano da parte di Stark. Si era geloso, ma il giusto e sempre in situazioni dove io davo segni di non voler essere importunata. Non si era mai sentito minacciato da un’altro uomo, perché sapeva che non c’erano pericoli che facessi stupidaggini. Perciò mi stupii del suo sguardo quando mi staccai lentamente da Gibbs, cercando di fargli capire che non c’era nulla di più che un semplice abbraccio innocente.
Non disse nulla e se ne andò in camera nostra.
Ormai staccata dalle braccia dell’agente, lo seguii.
“Che ti prende? Lo sai che non hai bisogno di essere geloso” sputai mentre chiudevo la porta alle mie spalle.
“Davvero? A me sembravi davvero affiatata tra le braccia di Gibbs. Vedo come lo guardi, e soprattutto come lui guarda te!”
“Ma sei matto? Non mi ha mai guardata in QUEL modo, Tony, stai facendo una scenata insulsa e non capisco il perché, nemmeno io”
“Beh apparentemente il tuo potere non funziona nemmeno quando si tratta di capire se qualcuno prova attrazione verso di te. Persino quando lo hai minacciato nel suo sguardo c’era il desiderio di baciarti, Leila”
“Ma ti senti? Anche se fosse, per me non esiste se non come collega e amico, non avrebbe speranza”
“E quell’abbraccio significava non avere speranza?”
“Era un abbraccio Tony!”
“Non lo hai mai dato a nessuno a parte me”
“Stavo provando ad aprirmi infatti, sono stufa di nascondermi dietro alla mia corazza, ho bisogno di sfogarmi, non solo con te” dall’impeto di rabbia che quella situazione assurda mi aveva fatto salire, non mi accorsi subito di ciò che avevo detto. Non era grave, ma il fatto che lui fosse già geloso, unito alla mia necessità di trovare altri appoggi oltre che a lui, quando finora avevo solo avuto lui, non dovevano avergli fatto una buona impressione.
“Va da lui allora, consolati su”
Non potevo credere a quello che stava dicendo. Da quando Tony Stark era geloso? Poteva ma non faceva scenate così, battute idiote e taglienti si, attacchi del genere, mai.
Uscii dalla camera senza dire una parola.
Quando trovai Gibbs seduto sulla brandina intento a leggere un libro antico e polveroso con i suoi occhiali vecchio stile, la rabbia per quello che aveva detto Stark crebbe ancora di più.
“Si ottima idea, distruggere i muri e mostrarsi debole agli altri, davvero un ottima idea” salii le scale del bunker e uscii nella notte, con i pugnali di Maze nelle tasche posteriori dei pantaloni.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 17, 2023 ⏰

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