10. Le mani del peccato

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MATTHEW POV

Papa Francesco un giorno disse: «La tratta di persone è una ferita nel corpo dell'umanità.»

Quella notte il mio incubo mi venne a trovare di nuovo, stessa storia. Quella stanza, quei bambini, quegli... esperimenti, tutto mi sembrava familiare, eppure io non avevo vissuto niente di tutto ciò e non sapevo perché apparivano così.

Quella donna continuava a chiamarmi Lee, con il mio vero nome e mi diceva di collegare i punti, ma quali? Non sapevo di cosa parlava. Poi quel campo, mentre correvo all'impazzata sotto la pioggia. Si fermava sempre quando la donna mi iniettava un siero nelle vene.

Dannazione, non riuscivo più a dormire dopo quel dannato sogno. Ero così frustrato che mi ritrovai in un bar, con delle chiazze nere che ricoprivano il contorto dei miei occhi.

Li osservavo.
Li perseguitavo.
Orlando non usciva da quella topai in cui si era rifugiato e non ne sapevo l'esatta posizione, ma ci sarei arrivato, in qualunque modo.

Attendevo il momento giusto per agire, seduto al bancone di un bar, mentre sorseggiavo del buon whiskey. Ero lì con uno scopo ben preciso, e stavolta ero lì senza travestimenti, no, colui che stavo attendendo doveva guardarmi in faccia e poi morire, perché nessuno rimaneva vivo dopo averla vista, potevano passare i giorni, le settimane, ma sarebbe morto.

Il mio telefono iniziò a vibrare, così lo presi dalla tasca e lessi il nome che vi era sullo schermo: Aria. Sorrisi al pensiero della sua chiamata. Cliccai il tasto verde e lo portai vicino l'orecchio, attendendo la sua voce. «Ciao, Aria.» Eppure non ebbi risposta, sentivo solamente il suo pianto spezzato da singhiozzi bruschi. «Perché piangi?» le domandai, intento a farla parlare. Nonostante il suo mutismo selettivo con me riusciva a parlare, anche se durante le sue crisi era difficile persino farle fare questo. «Fai come ti ho insegnato, Aria; prendi tutta l'aria che ti serve dal naso e poi gettala fuori con eleganza dalla bocca. Riuscirai a calmarti» le dissi, intento a ricordarle tutto ciò che le avevo detto.

Fece ciò che le dissi. «I-Io volev-v-o giocare con t-te» mi rispose, mentre le sue parole venivano spezzate dai singhiozzi. Fece un bel respiro. «M-ma hanno detto che sei andato via di n-nuovo. Stai portand-o i giochi ai bambini che non ne hanno, è v-vero?», dovette sforzarsi per parlare.

Aria non sempre aveva delle crisi che la portavano a balbettare, ma l'equipe medica che la seguiva ci aveva detto fosse normale, dato il suo passato. Avere un trauma come il suo alla tenera età di cinque anni e non parlare con nessuno per quasi tutto l'anno successivo ebbe i suoi contro. Non era una bambina viziata di attenzioni, ma si sentiva persa e si aggrappava a ciò che aveva di più caro: me, per questo quando non mi vedeva per un periodo prolungato in lei vi erano delle crisi di pianto, che al di fuori sembravano capricci, nella sua mente? Una paura dannata di essere lasciata al mondo da sola di nuovo, che io non tornassi da lei, un timore che una bambina di soli sette anni non doveva avere.

Sentirmi iniziò a farla calmare. Solo chi c'era oltre le stelle sapeva quanto avessi voluto dirle che ero lì per salvare dei bambini da uomini malvagi, come avrei voluto fare con lei quella notte. «Si, piccola, sono dei bambini che hanno un disperato bisogno di me. Vedi, loro al momento non riescono a sorridere perché sono lontani dai loro genitori e io devo aiutarli a tornare tra le braccia di chi li ama, ma nel frattempo regalo loro dei giocattoli perché qui non ne hanno molti.»

La calma stavo tornando dentro di lei, fermando quelle che era delle emozioni negative per la sua psiche. «Perché sono lontani dai loro genitori?»

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