00. 𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨

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CONTENT WARNING:
All'interno di questa storia troverete: scene esplicite, spargimenti di sangue, omicidi o torture con una descrizione approfondita, rapimenti di minori, narcotraffico, trafficanti di essere umani, esperimenti su minori, insomma, scene non adatte a un pubblico non consapevole e/o facilmente impressionabile. Non proseguite con la lettura di questa storia se credete che i contenuti riportati qui sopra potrebbero in qualche modo turbare la vostra sensibilità.

DEDICA:
A tutti coloro che hanno rifiutato il cacciatore che diceva "Ti salverò", perché il "Ho una grande lingua per poterla utilizzare meglio" del lupo era molto meglio.
A tutti coloro... che hanno avuto a che fare con una vita infame che toglie tutto.

~•~

Vi siete mai svegliati con la sensazione che quel giorno la vostra vita sarebbe andata a puttane? Io si, e contrariamente a ciò che si poteva pensare, la mia vita andò veramente a puttane. Quella sera, di un caldo e afoso settembre, misi il mio primo piede oltre la soglia della porta dell'inferno.

Non avevo mai avuto una casa stabile, i miei genitori per via del loro lavoro ogni tot di anni decidevano di trasferirsi, anche se, fortunatamente, erano ormai quattro anni che vivevamo a Belmar, in New Jersey. La mia vita era apparentemente perfetta; avevo delle amiche, uscivo spesso, ero benestante, avevo un'enorme villa e a casa andava tutto bene, tranne per il costante vuoto che lasciavano i miei genitori quando erano a lavoro. In realtà, non sapevo che lavoro facessero, non mi era mai passato per la mente chiederlo, sapevo che fosse solamente molto impegnativo.

«Julia, scendi. È pronta la colazione!» urlò mia madre dalle scale, sapendo che fossi già sveglia e che mi stessi vestendo della divisa scolastica.

Mi sistemai la gonna di un blu notte, la giacca e il fiocco rosso... Perché le divise delle scuole private dovevano farti sembrare una bambina?

Finii di prepararmi con calma, dopodiché scesi di corsa in sala da pranzo e immediatamente notai quegli occhi neri sempre sorridenti di mio padre intendi a guardarmi, seduto al tavolo da pranzo. La maggior parte delle ragazze della mia età aveva un rapporto oscillante con i propri genitori, avere diciassette anni era di certo un dramma per noi adolescenti. Io, invece, avevo un buonissimo rapporto con lui, amavamo allenarci assieme alle arti marziali e potevo dire di saper combattere solo grazie al suo addestramento. Non sapevo perché aveva l'obbiettivo di migliorarmi nella lotta, lo faceva sin dai miei sei anni, ma a me andava bene così. Mi divertiva passare del tempo con lui quando era a casa, ma continuavo ad allenarmi anche senza di lui.

Mi sedetti al tavolo e immediatamente mia madre posò davanti a me il mio piatto, per poi sedersi di fronte a me. La guardai e sorrisi.
Anche se il mio carattere era come quello di mio padre, l'aspetto estetico lo avevo ripreso da lei. I suoi occhi verdi salvia si guardavano attorno fissi e sottili, quasi come se quella mattina avevano qualcosa di diverso; erano pensierosi. Non sapevo mai quello che accadeva nelle loro vite al di fuori delle mura di casa, ma non rimanevo sorpresa nel vederli strani, lo erano molto spesso. Quasi come se un pericolo era sempre dietro l'angolo e loro erano pronti ad affrontarlo, per un motivo a me sconosciuto.

Iniziammo a mangiare in tranquillità. In casa esistevano poche regole, una di quelle era: iniziare con serenità la giornata, passando una tranquilla colazione. «Oggi fai qualcosa dopo scuola?» mi chiese mia madre.

Mandai giu un sorso di succo. «Penso di uscire con i ragazzi oggi. State bene? Vi vedo strani» domandai, notando che improvvisamente un velo di tristezza apparve nei loro occhi.

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