02. Benvenuta nella tua nuova realtà

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JULIA POV

Pirandello scrisse: "Stava a me: potevo e dovevo essere l'artefice del mio nuovo destino."

Ero nel giardino di una mia vecchia casa. Mio padre era davanti a me, con le mani ricoperte da dei guantoni da boxe e il sorriso a trentadue denti stampato sul viso. «Colpisci, Julia. Fammi vedere quant'è forte la mia bambina!» mi stimolò, sfidando la ragazzina che gli voleva dimostrare tutto. Lo colpii con le mie esili mani più e più volte, tenendo il ritmo del suo conteggio. «Ora, in questa seguenza; destro, sinistro e calcio. Più volte» mi ordinò, e io come una soldatina feci ciò che mi venne chiesto.

Amavo avere quei momenti con mio padre. Ero una bambina di soli otto anni e ricevere tutte quelle attenzioni valeva molto. Mi fermai, sentendo le mie forze svanire e le braccia cedere. «Sono stanca, papà!» mi lamentai, mentre lui sfilava le protezioni dalle mani.

Le gettò a terra e mi venne incontro, abbassandosi al mio metro e quaranta. «Oh, la mia piccola è stanca?» disse, per poi afferrarmi i fianchi e solleticare ogni centimetro del mio corpo. Le nostre risate si diffusero nell'aria, accompagnate dal cinguettio degli uccellini.

«Fermo, papà! Mi fai ridere così!» cercai di dire, ma a ogni mia parola la mia voce veniva interrotta dalla mia risata sonora.

Lui, in risposta, inserì le mani al di sotto delle mia ascelle e mi tirò su, per poi volteggiare su se stesso. Amavo il rapporto che avevo con mio padre. Dopodiché mi fece aderire al suo petto, permettendomi di abbracciarlo con tutta la mia forza.

Lui mi strinse a sé, quasi come se in qualche modo io potessi scappare. «Sei la mia principessa, Julia, lo sarai sempre» disse sottovoce.

«Ti voglio bene» gli risposi.

In quel momento, padre e figlia, non ci accorgemmo che dalla porta del retro mia madre ci osservava sorridendo.
L'uomo che mi teneva in braccio se ne accorse e le sorrise di conseguenza, quasi come se i loro occhi si parlassero di nascosto e la loro complicità faceva comprendere tutto, senza proferire parole.

«Soldatini, è pronta la cena» ci avvertì lei, interrompendo il nostro istante.

Mi posò a terra e mi prese la mano, avviandoci insieme verso l'entrata sul retro di casa. La donna che avevo davanti solitamente era fredda e distaccata, eppure, quando mi avvicinai a lei, mi stampò un bacio delicato e lungo sulla fronte. I due si strinsero a me, abbracciandomi con forza e sorridendomi. Quando mi lasciarono andare e rientrammo in casa... loro non erano più lì. La casa era resa inabitabile, con crepe, muffa e tant'altro in giro per le mura. Era tutto distrutto e abbandonato a sé stesso.

Il piccolo cuore che portavo nel petto mi pulsava così violentemente da provocarmi un respiro più denso e pesante. Camminai in avanti e mi fermai poco dopo l'ingresso, mi voltai verso lo specchio e ciò che vidi mi spaventò all'instate; non era più una bambina e i miei occhi erano completamenti neri... erano morti.

Indietreggiai spaventata. «Mamma! Papà! Dove siete?» urlai con tutta la mia forza, correndo in giro per la casa alla loro ricerca. Ero sola, e spaventata. «Ho paura, dove siete?» confessai per la prima volta. La voce tremava, così come ogni particella del mio corpo. Alla fine, però, delle lacrime si beffarono di me e fuggirono dai miei occhi, permettendomi di crollare. Mi accasciai a terra, in un angolo della loro stanza da letto, e urlai; più che potevo, quanto ne avevo bisogno... finché non sentii la gola graffiare e bruciare, e ogni viscera del mio corpo far male. Mi portai le mani nei capelli e piansi, così forte da arrendermi al dolore.

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