Capitolo 19.

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Le mie orecchie stanno per cedere a causa delle urla di Stella, che sta per svenire al cellulare. Le ho raccontato ogni dettaglio e, come immaginavo, si è messa ad urlare, svegliando probabilmente ogni camera che cinge la sua.
«Stella, sta' zitta! Starai di sicuro svegliando l'intero hotel!», le dico sussurrando.
«Amica, non sai quanto aspettavo questo momento! Dobbiamo festeggiare, cazzo!», urla ancora.
Le mie orecchie hanno bisogno di riposo, tanto riposo.
Sono felice anch'io, devo dire anche molto stranita in realtà, ma sono le due di notte e non intendo minimamente reagire come lei.
«Vabbè, adesso vado a dormire. Tu va' a farti altri film mentali su noi due, su», la prendo in giro io.
«Vado subito, ci sentiamo domani!», dice mettendo giù la chiamata.
Penso che sia capace di farlo sul serio, dato che prende sempre la mia ironia come un momento di serietà, ma la sopporto ugualmente anche per questo.
È proprio la mia persona, mi sta accanto in qualsiasi momento e supporta ogni mia scelta. Amo come si prende sempre cura di me e si preoccupa se qualcuno mi fa stare male.
Mentre mi limito a fissare ripetutamente il soffitto senza un motivo apparente, mi arriva un messaggio da Marcus.

M. Ricordati del pranzo di domani, e metti qualcosa di lungo.
D. Certo che lo ricordo, ma no, non metterò qualcosa di lungo.

Sono curiosa della sua risposta, amo provocarlo.

M. Mi rendo conto che per te è un po' difficile intuire, a quanto pare non hai proprio capito, non è una domanda.
D. Il mio cervello è a posto, se mai dovremmo dare una controllatina al tuo. Ma a parte questo, non farò nulla di tutto ciò che mi dirai, sai che non mi farai mai cambiare idea.
M. Sarà da constatare domani, tulipano.
D. Stanne più che certo.

Dopo questa chat, mi addormento sul colpo.
Mi risveglio la mattina dopo, alle 10:30.
Trovo un altro messaggio, stavolta non letto, da lui.

M. Buongiorno, dormigliona. Non fare tante domande, non so precisamente perché mi sia svegliato così presto, ma so solo che la vista qui non è niente male.

Dopodiché c'è una foto allegata.
Foto che raffigura lui accanto a me, mentre dormo, con il viso molto vicino alle sue parti basse.
Che stronzo! Si è messo così di proposito.
Mi alzo dal letto con una smorfia, mi sistemo e vado in cucina a fare colazione. Una volta entrata, lo scorgo sorridente mentre chiacchiera beatamente con Arianne, poi mi fissano.
«Buongiorno», dico io imbarazzata.
«Buongiorno, tesoro. Caffè?», chiede Arianne.
«Va bene, grazie», rispondo sedendomi accanto a Marcus, che stranamente ha occupato il mio posto.
Mentre Arianne è intenta a preparare il caffè, Marcus mi rivolge un'occhiata che probabilmente rimarrà impressa nella mia mente per sempre. Nel frattempo mi fa un enorme sorriso, e questo vale più di mille parole.
Subito dopo ci ricomponiamo per non farci vedere e bevo frettolosamente il mio caffè, guardandolo con occhi sognanti tutto il tempo, ma senza dire una parola. Quando finiamo andiamo in camera mia e lui chiude la porta alle sue spalle. Con dei piccoli saltelli raggiungo il mio letto e mi ci siedo su, mentre Marcus si appoggia allo stipite della porta a fissarmi, stressando l'unghia del pollice con gli incisivi. Ad un certo punto si decide a venirmi incontro e i suoi occhi non si scollano neanche un attimo dai miei. Si mette accanto a me, poi decide di prendermi per i fianchi e adagiarmi su di lui con un colpo secco, senza mostrare il minimo sforzo in quel gesto. Come fa ad essere così muscoloso e forte senza nemmeno allenarsi?
Mi sposta una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi fissa le labbra, io provo a baciarlo ma si scansa. Racchiudo la mia espressione perplessa in un broncio, perciò mi sorride.
«Farai come ti ho detto? Non mi piace che gli altri ti guardino, Diane».
«Non fare il furbo, Marcus, avevi detto che posso mettere tutto ciò che voglio, perciò metterò quel beatissimo vestito». Gli punto continuamente un dito contro il petto, provando a fargli un dispetto in qualche modo, ma questo non lo disturba minimamente, né lo smuove di mezzo millimetro, e per di più sono io a farmi del male al tocco.
Accarezzo il mio indice stringendolo al petto come una bambina, e lui ride.
«Che cazzo vuoi? Hai questi di ferro!», piagnucolo poggiando entrambi i palmi delle mani sui suoi pettorali scolpiti. Lui scuote la testa.
«Attenta, tulipano, potresti farti molto più male di così, se avrai a che fare con me».
Il suo tono freddo mi stranizza un po', perciò decido di tornare al discorso precedente.
«Comunque, se non ti avessi ancora convinto... quel vestito mi è costato un occhio della testa, quindi direi che lasciarlo in preda alla polvere, lì dentro...non sia una buona idea». Indico l'armadio, con un'espressione divertita.
Mi attira a sé. «Va bene, tulipano». Posa le labbra sulle mie, in un bacio leggero, e in un attimo mi manca il fiato. «Ma voglio vederlo adesso».
Mi stacco da lui e riesco a notare che mi concede un occhiolino prima di liberarmi dalla sua presa, perciò vado a provarlo, tornando subito dopo per farmi vedere.
«Ah», riesce a dire quando rientro in camera.
«Ti piace?», faccio una giravolta sorridendo, e lui si mostra sia affascinato sia innervosito, perché sa che non sarà l'unico a fissarmi in questo modo.
«Non trovo gli aggettivi adatti da usare per descriverti», risponde quando mi avvicino a lui.
«Allora non dire nulla».
Lo bacio con intensità mentre posa le mani al di sotto del mio seno, provocandomi una scossa lungo tutta la spina dorsale. Affonda il viso sul mio collo, continuando a riempirlo di piccoli baci dolci ma roventi, e a stressarlo con i denti.
Veniamo interrotti dallo squillo del mio cellulare.
Certo, proprio adesso.
Lo prendo un attimo e rimango pietrificata: è Eric.
Sbianco.
«Ei, che c'è?», dice spostando la testa di fronte al mio cellulare, curioso e preoccupato allo stesso tempo.
Alla vista di quel nome sullo schermo, cambia espressione e nel frattempo la chiamata su quest'ultimo termina.
«Marcus, oggi è il suo comp-», provo a dire.
«Devi fargli gli auguri? Ti ha chiamato lui per ricevere i tuoi auguri? Che razza di uomo lo farebbe? Avrebbe dovuto aspettare un tuo messaggio, in questi casi. Anche se non dovresti nemmeno pensarci», mi ferma.
«Ei, calmati, non è nulla di importante... Anch'io mi faccio le stesse domande, ma non possiamo sapere com'è fatto». Metto una mano sulla sua, ma si scosta racchiudendola nel suo pugno, lentamente.
«Io invece lo so bene, e fidati che non vorresti essere al mio posto».
Faccio una faccia interrogativa e poi sbuffo silenziosamente, perché so bene che non cederà alla tentazione di raccontarmi le sue cose.
«Senti, io devo almeno scrivergli per scusarmi...e poi...nulla di più. Riesci a capire che si tratta solo di un messaggio?».
«Va bene, ho capito».
«Ei», gli dico alzandogli il viso per farlo coincidere con il mio. «Non devi minimamente preoccuparti di lui, ok? Non voglio che tu faccia cazzate, non più», continuo.
«Lascia stare», dice staccandosi e uscendo dalla stanza.
Perfetto, Eric. Hai rovinato tutto.
Come sempre.
Corro da Marcus, perché non mi va di discutere con lui per cazzate e per la sua gelosia a causa di un ragazzo che conosco a malapena. Arrivo in camera sua, ha già acceso una sigaretta ed è in balcone come al solito.
«Marcus, non mi va di litigare, sai benissimo che non mi importa un cazzo di lui», gli dico subito, raggiungendolo.
«Lo so, ma mi dà fastidio il fatto che ti possa chiamare o scrivere quando vuole. Non sai com'è realmente, non dargli retta», si gira verso di me e mi prende il viso con la sigaretta tra l'indice e il medio.
So che se mi riprende o mi avverte di qualcosa, lo fa per il mio bene, ma non capisco il perché di questa situazione tra loro.
«Va bene», gli rispondo accennando un sorriso, mentre lui mi imita e torna a fumare. In tutto ciò si sono fatte le 11:30 e tra un'ora dovremmo uscire per il pranzo.
Gli dò un bacio veloce staccandomi subito, ma lui mi bacia nuovamente intensificando il ritmo, mentre spegne la sigaretta con la scarpa. Appena ci stacchiamo corro in bagno, faccio una doccia veloce e comincio a prepararmi, truccandomi e indossando il vestito di poco prima. Quando finisco, noto Marcus entrare in bagno e fare un sorrisetto malizioso, perché sono seduta sul water mentre metto gli stivaletti.
Cazzo, non ho le gambe abbastanza chiuse.
Le mie gambe non sono affatto chiuse.
Pensavo di essere sola... dai!
«Che cazzo fai? Mi sto preparando!», gli dico io chiudendo la cerniera dello stivaletto.
«Ancora? È l'una e un quarto», mi avverte ridendo.
CAZZO.
«Oddio, scusami, non pensavo di metterci tanto», dico grattandomi la testa mentre riduco il viso in un'espressione di scuse.
«Sta' tranquilla», dice avanzando verso di me. Mi tira per il braccio facendomi fare una lieve giravolta, per poi chiudermi in una stretta forte e decisa. Sorridiamo entrambi e gli faccio una specie di linguaccia.
«Marcus, voglio chiederti una cosa», inizio io tornando seria.
Ho paura di come possa reagire, ma ora o mai più. Devo sapere.
«Dimmi».
«Tu...per ora... cioè, voglio dire, adesso tu stai...», provo a dire, fallendo miseramente.
«Sto facendo cosa, tulipano?», dice mentre mi fissa negli occhi, passando le sue lunghe dite tra i miei folti capelli mossi.
«Volevo chiederti se ti stessi vedendo con qualcuna per ora», caccio via in un colpo, sospirando velocemente e fissando i miei stivaletti.
La sua espressione si rabbuia e in un attimo i miei capelli non sono più avvolti dalla sua presa dolce, bensì vuoti.
«Perché... dovrei vedermi con qualcuna adesso?», dice confuso e un po' deluso dalle mie ipotesi.
«Volevo solo chiedere, nient'altro», provo a chiudere il discorso, scuotendo lentamente la testa e accennando un sorrisino falso.
Sto facendo un casino, un altro.
«So cosa intendi, Diane».
Sono solo preoccupata al pensiero che lui voglia fare con me come ha fatto con le altre, usandomi per poi dimenticarmi come se fossi stata solo l'esperienza di una notte. Anche se fin'ora non ha cercato neanche una volta dei secondi fini, dopo il nostro primo bacio.
«No, Marcus, sta' tranquillo. Volevo solo rassicurarmene».
«Bene, perché se pensassi veramente quelle cose... non saprei come spiegarti il modo in cui ti vedo io». Abbassa le labbra sul mio lobo e dà un lieve bacio proprio in quel punto, procurandomi una scarica elettrica lungo le gambe. Poi riesce ad emettere un sussurro talmente basso che la sua voce sembra sparire nel nulla. «Lei è diversa da loro, milady. Lei è tutta un'altra storia».
Anche se non ho gli occhi sui suoi, sono sicura al cento per cento che stia facendo uno di quei soliti sorrisetti che mi fanno gelare.
«Adesso andiamo, tulipano. È tardi», continua a sussurrare, mettendosi in riga subito dopo e sovrastandomi con la sua solita altezza abissale, che batte senza ombra di dubbio la mia.
Prendo la borsa e salutiamo Arianne, che avrà sicuramente capito tutto, ma ne parleremo meglio poi.
Una volta in macchina, accende la radio e cantiamo insieme molte canzoni di vari cantanti che abbiamo scoperto piacere a entrambi.
The Weeknd, Chase Atlantic, Lana del rey, Artic Monkeys...
Mi rivolge dei sorrisi sinceri e adesso ho la sua mano sulla coscia.
Sono al cellulare per non far notare il rossore del mio viso mentre, munendomi di fotocamera, sistemo la mia chioma scura, che si è scompigliata prima a causa del vento.
«Dove andiamo?», gli chiedo allegramente guardando il finestrino.
Siamo in auto da un po', quindi penso stia andando in un ristorante abbastanza lontano. Mi piace.
«È una sorpresa», mi sorride e stringe di poco la presa salda sulla mia coscia.
«Okay».
Dopo altri venti minuti di tragitto, siamo arrivati.
Non credo ai miei occhi: C'è come vista il mare, è un ristorante con le mura colorate di azzurro ed è tutto a tema spiaggia. I tavoli sono apparecchiati con colori estivi, le sedie di legno hanno dei crostacei incisi sul poggiaschiena e al soffitto sono attaccate delle navi di grandezza ragionevole, in legno chiaro, che penzolano al centro della stanza.
«Marcus, è...», dico con aria sognante.
«Bellissimo, lo so», mi precede. «Come la donna al mio fianco». Mi dà un bacio sulla testa.
Amo come mi fa sentire: protetta, felice, sicura.
«Troppi complimenti», dico io facendo la finta modesta con una smorfia, e roteando gli occhi.
«Se sono necessari, si può sempre abbondare», risponde guidandomi verso un tavolo all'angolo della sala, in modo da poter vedere tutta la stanza ed avere affianco a noi una vetrata che permette di intravedere l'esterno.
«Grazie, davvero. Non so come ringraziarti, stai rendendo tutto migliore».
Mi sorride e si mette al cellulare per qualche minuto, io faccio lo stesso e poi decidiamo di controllare i menu, perché si sono fatte le 14:00.
«Cosa prendi, tulipano?», mi chiede, quando si accorge che ho già scelto.
«Spaghettata allo scoglio, tu?», rispondo posando il menu.
«Penso un'insalata di mare».
Arriva la cameriera, e noto che dopo aver preso l'ordinazione lo fissa negli occhi in modo provocante, sculettando vergognosamente per tutta la sala quando torna nelle cucine.
Che odio, non sopporto le persone così. Non vede che è in compagnia? Magari poteva degnarmi di uno sguardo, sarebbe stato il minimo.
Lui la squadra da capo a piedi, ed è come se avesse qualcosa da dirle.
Sto per fare un'enorme cazzata, alzandomi di qui e dirigendomi verso di lei per strascinarla nuovamente fino al nostro tavolo, dai capelli. Meglio contenersi, però.
Chi lo sa, magari accadrà più in là. È tutto da vedere.
«Ti ha dato fastidio, vero?», mi chiede con il solito sorriso.
«Mh, un po'», ammetto.
«Adesso capisci quello che provo io quando qualcuno ti si avvicina o ti rivolge un cazzo di sguardo dove ti scopa con gli occhi?», sussurra sporgendosi verso di me, assottigliando le palpebre. «Però il fatto è che provo di peggio, è come se le mie mani venissero manovrate istintivamente e di conseguenza non so controllarmi. Quindi... se vuoi aiutarmi...non permettere a nessuno di guardarti o avvicinarsi a te».
Adesso capisco, ho sempre assecondato quasi tutti quelli che mi davano fastidio, mentre lui moriva dentro e non sapeva controllarsi.
Non mi sopporto per questo.
«Non lo permetterò più a nessuno, promesso».
Dopo qualche altra chiacchiera arrivano i piatti insieme alle bibite, e il pranzo sembra trascorrere tranquillamente.
Quando terminiamo, ammiro per l'ultima volta il posto, e alla fine usciamo. Arrivati al parcheggio, mi raccomanda di aspettarlo in auto, per comprare le sigarette nel bar accanto il ristorante. Faccio come dice e, approfittando della sua assenza, chiamo Stella e le racconto com'è andata la mattinata e il pranzo. Lei come al solito reagisce malamente per le frasi e i contatti fisici che le descrivo, ma del resto tutto sembra procedere bene.
Quando metto giù la chiamata un'auto parcheggia accanto quella di Marcus.
Cazzo, questo tizio vuole rovinarmi gli unici momenti belli della mia vita.
È appena sceso dall'auto e sta bussando sul mio finestrino. Non posso ignorarlo, anche se so che caccerò sia lui e sia me nei guai, grossi guai.
Apro lo sportello ed esco.
«Ei, che ci fai qui?», mi chiede sfoderando un sorriso a trentadue denti e incastrando le mani dentro le tasche dei pantaloni.
«Nulla, sono venuta qui a pranzare oggi», rispondo con un finto sorriso.
«Con me, stronzo», risponde una voce dietro di lui, coprendo la sua statura con un tono agghiacciante.
Marcus lo guarda con uno sguardo furioso, mentre noto che cerca di controllarsi, dato che siamo in un pubblico ben vasto e pieno di persone che potrebbero complicare la situazione.
Preferisco quelli che si fanno i cazzi loro e non chiamano nessuno a "soccorrerci".
«Oh, eccoti, Marcus. Lo immaginavo, sempre con lei eh?», dice inclinando di poco la testa e spostando lo sguardo su di me, sguardo che mi comunica qualcosa come "ti sta portando sulla cattiva strada, sai che persona è?".
Ma come può pensare di sapere come vanno le cose tra noi? Non sopporto la gente che parla senza sapere nulla.
«A quanto pare per essere qui adesso vuol dire che ha accettato con piacere e preferisce passare del tempo con me», lo asfalta lui.
«O magari l'hai solo obbligata e minacciata, non è così che fai di solito, Marcus?».
No, cosa sta succedendo?
Gli sguardi che si lanciano sono affilati come coltelli, e Marcus cede. Gli tira un pugno dritto in faccia, provocandogli probabilmente una grave frattura al naso.
«Marcus! Non iniziare, ti prego. Sai che non siamo da sol-», provo a dire, ma Eric cerca di imitare il suo pugno, fallendo miseramente, perché Marcus si scansa facilmente con un sorrisetto e un sogghigno.
«Non metterti contro di me, Eric. Va' via e non farti vedere mai più davanti a me e soprattutto davanti alla mia ragazza, intesi?», dice lui con tono autoritario.
Ha detto che sono la sua ragazza.
Sono la sua ragazza.
Stiamo insieme.
L'ha affermato davanti ad entrambi.
«Cos- Voi siete fidanzati? Avevi detto di no, Diane!», chiede l'altro, guardandomi confuso.
Anche Marcus si volta verso di me e adesso non so cosa dire.
«Ma non ora...Quando mi hai scritto, non stavamo ancora insieme».
«E da quanto state insieme allora?», chiede ancora.
«Ho detto via, subito, prima che te ne arrivi un altro, di pugno», lo zittisce Marcus.
Lui entra in auto e, dopo aver messo un fazzoletto sul naso, parte e sfreccia via dal parcheggio. Noi due entriamo nella nostra e nessuno dice una parola fino a quando non arriviamo a casa. Scendiamo dall'auto e sono le 15:30. Quando entriamo Arianne ci chiede com'è andata, cosa abbiamo mangiato e se ci siamo divertiti. Rispondiamo fingendoci allegri e poi ognuno in camera sua.
Ognuno in camera sua...

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