05. Forced Cohabitation

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KylaUno, due, tre

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Kyla
Uno, due, tre... respira.

Presi una boccata d'aria e la trattenni qualche secondo prima di rilasciarla, mentre torturavo i bottoni della giacca che stavo indossando. Mi sentivo tesa come una corda di violino e quella mattina qualunque cosa provassi a calzare sembrava non essere adatta. Una gonna eccessivamente aderente, una camicia troppo larga o delle scarpe esageratamente alte, niente ero al suo posto.

Sbuffai di nuovo, mi guardai ancora allo specchio della mia camera d'albergo e iniziai seriamente a contemplare l'idea di prendere il primo volo per Denver e supplicare Jasmine di ripensarci.

L'incontro del giorno prima mi aveva steso, riaverlo di nuovo così vicino mi aveva completamente disarmata. Com'era possibile provare ancora tutte quelle emozioni dopo tanti anni? La mia vita era andata avanti, avevo frequentato altre persone, fatto nuove esperienze, conosciuto tanta gente, eppure rivederlo mi aveva trascinata di nuovo indietro nel tempo, come se non fosse passato nemmeno un giorno e avessi perso improvvisamente tutta la mia sicurezza.

Davanti ai suoi occhi non ero più la giovane e determinata donna in carriera ma tornavo ad essere la ragazzina di diciassette anni che pendeva dalle sue labbra e moriva sotto ogni suo tocco.

"È un compito importante, devi essere onorata di averlo ricevuto." mi ripetevo nella mia testa, sapendo di averlo già compreso e di esserci già dentro fino al collo, ma il pensiero di trascorrere intere giornate accanto a lui mi strappava l'aria dai polmoni.

Il destino era un grandissimo stronzo.

Perché toccava proprio a me? Perché doveva essere proprio lui la mia grande occasione nella vita, quando io sarei stata la rovina della sua?

Era sbagliato, immorale, spregevole sotto ogni punto di vista, ma l'idea di firmare la sua condanna faceva sentire me la cattiva della situazione perché conoscevo le sue ragioni e conoscevo il suo passato ma non sarebbero mai bastati a giustificare i suoi reati, tantomeno probabilmente era lui a voler trovare qualche alibi.

Alla fine mi arresi alla realtà e misi da parte le paranoie, infilai il completo da agente che utilizzavo sul lavoro, un coordinato di pantaloni aderenti e felpa nera con giubbotto antiproiettile, un paio di stivali bassi e una pistola nella fondina.

Chiusi la porta della camera alle mie spalle e mi diressi nella sala colazioni dell'albergo dove trovai il moro già seduto al tavolo. «Buongiorno Jackson.» lo salutai scostando la sedia davanti a lui per sedermi. Ero grata che fossimo nello stesso albergo, avevo qualcuno su cui contare e avremmo anche lavorato su due incarichi piuttosto simili dato che lui teneva d'occhio i due complici di Hyperion.

«Buongiorno a te Kyla, ti ho ordinato un cappuccino visto che al bar prendi sempre quello.»

«Grazie, non c'era bisogno.» gli risposi sorridente, sentendomi anche leggermente imbarazzata dalla sua attenzione. Non perché ci vidi nulla di malizioso, semplicemente perché pensai che fosse un pensiero carino.

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