«Provate a mettere in pratica la tecnica di respirazione che vi ho appena mostrato», disse, e dopo essersi assicurata che tutti la stessero ascoltando, riprese a contare. Non ha mia considerato l'insegnamento delle arti marziali un compito semplice, soprattutto se viene coinvolto un gruppo di bambini, troppo piccoli e ancora indisciplinati per praticare uno sport così tanto marziale, ma allo stesso tempo divertente. Aveva iniziato per gioco a quattordici anni, dopo aver dedicato nove anni della sua vita alla danza: le lezioni tre volte alla settimana, i primi costumi, le prime volte sul palco. Aveva iniziato a coltivare il suo sogno e tutto questo si era trasformato in determinazione: entrare in accademia e fare parte di un corpo di ballo, imparare dalle più grandi e, un giorno, essere prima ballerina. Sogno che, lentamente, aveva iniziato a sgretolarsi e che l'aveva costretta a rompere pacificamente con la danza: rompere, perché accettare le ingiustizie che subiva dai suoi insegnanti era ormai diventato difficile; pacificamente, perché per vergogna non ha mai trovato il coraggio di confessare la natura della sua decisione.
Non stava più prestando attenzione ai bambini, alla loro respirazione, né al modo in cui eseguivano la tecnica che aveva insegnato loro. Il suo corpo, vestito con l'uniforme bianca e cintura nera si trovava in palestra, ma la sua testa era ritornata al momento in cui era salita sul palco per l'ultima volta e aveva fatto l'inchino davanti ad una macchia nera che la applaudiva. Indistinguibili erano le facce delle persone che sedevano davanti a lei, così come lo erano quelle delle compagne che la circondavano. Ancora limpido è il ricordo del sipario che lentamente si chiude e delle luci che si affievoliscono, fino a spegnersi completamente. Alle sue spalle, le altre ballerine si abbracciano e si complimentano per la buona riuscita dello spettacolo, con la promessa di non perdersi di vista durante la pausa estiva e di riprendere i corsi a settembre. Davanti a sé, lunghe tende rosse ormai chiuse segnano la fine del sogno che per nove lunghi anni l'aveva accompagnata, con l'illusione che quella sarebbe stata la sua strada.
Il sipario...Le luci...Il respiro dei bambini. Il sipario...Le luci...Il respiro dei bambini. Il sipario...Le luci...Il resp...«Vittoria! Sono le 8. Hai finito?» Il sipario svanì d'un tratto e si riaccesero le luci nella saletta in cui stava tenendo la lezione, dove i bambini ancora stavano mettendo in pratica la respirazione. Vittoroa posò lo sguardo su Matilde, sua compagna di difesa personale e grande amica, la quale la stava osservando con attenzione, quasi stesse cercando di capire a che cosa stesse davvero pensando in quel momento. «Ciao Matilde», la salutò Vittoria e riferendosi nuovamente ai suoi allievi, li invitò a mettersi in riga per fare il saluto. «Fai anche la prossima ora?», chiese Matilde, ma Vittoria sapeva che per quella serata era previsto il pieno e non voleva mettere in difficoltà il suo capo. «No, stasera devo correre. Sarà per la prossima». Corse in spogliatoio e si lavò di fretta e furia, per poi sistemarsi al meglio e indossare l'uniforme prevista dal ristorante in cui stava temporaneamente sostituendo Alessio, conosciuto in Università, come cameriera.
Salita in macchina non accese la radio come suo solito, anzi, decise di godersi il viaggio fino Corso Moncalieri e pensare alla caotica serata che la attendeva, alle numerose portate che avrebbe dovuto servire, alle pulizie che avrebbe dovuto fare e al risveglio traumatico del giorno successivo per andare in Università. Le risultava difficile, quasi impossibile, non concentrarsi su nulla; la sua testa viaggiava sempre in maniera incontrollata e finiva per immaginare scenari catastrofici. Caos. Pensava in maniera compulsiva al fatto che quella sera si sarebbe dovuta impegnare a prendere le ordinazioni in maniera chiara ed ordinata, in modo tale da facilitare il lavoro ai cuochi in cucina; pensava che avrebbe dovuto fare uno sforzo in più e portare più piatti alla volta, così da ridurre il lavoro ai suoi colleghi. Pensava solamente al fatto che quella sera avrebbe dato il 100% di sè stessa, perchè il suo capo avea riposto fiducia nelle parole di Alessio, il quale l'aveva definita come una ragazza disponibile, ben organizzata e soprattutto predisposta a lavorare sotto pressione, cosa non vera, perché lei ha sempre odiato fare le cose di fretta per paura di farle male e di deludere sè stessa e gli altri. Caos, un disordine che Vittoria non ha mai apprezzato. Caos, una confusione che Vittoria non è mai riuscita a comprendere. Caos, un comportamento così vicino al suo modo di essere, perché è nel caos che è sempre riuscita a trovare il suo equilibrio e a trovare la forza per vincere le sue battaglie. Caos.

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La disciplina ha sede nell'anima e conduce alla vittoria
Genç Kız EdebiyatıLa disciplina è l'insieme delle regole che educano l'essere umano alla coesistenza pacifica e che dominano i suoi istinti, permettendogli di raggiungere la vittoria. Ma, cosa accadrebbe se il legame tra anima e vittoria si spezzasse? Cosa accadrebbe...