Capitolo 3

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3. La radice quadrata del colore


Matteo


Datemi un numero e lo rigiro come uno dei miei calzini spaiati, quelli che perdono sempre il compagno tra l'inizio e la fine del lavaggio a novanta gradi di quella lavatrice che usa male solo mia mamma.

Posso calcolare multipli, sottomultipli, creare equazioni, ragionare su incognite da scoprire e grafici annessi, spiegarne con minuziosi dettagli ogni passaggio. Un numero per me è da sempre un amico fidato e preciso, puntuale e leale. Una certezza. Non è solo un segno, una codificazione, ma è un mondo, nello specifico il mio. Fatto di logica e senza margini di errore non previsti, dove si respira quel senso di serenità che solo 'sapere' può dare.

Conosco le formule e ho le risposte alle domande che nessuno ha ancora posto, posso usarle e creare un insieme, un sottoinsieme, una nuova inclusione o esclusione. Posso analizzare il tutto con dati certi o ragionare per ipotesi da confutare con metodo scientifico poi. Sono in grado di scrivere lunghe ma avvincenti relazioni su ciò che ho scoperto, omesso o scovato.

Ma sono qui davanti ad un cellulare che conosco totalmente nel funzionamento, senza riuscire a mettere insieme 3 parole decenti per un messaggio da inviare a Becca!

Comico no?

Dal giallo felicità che sapeva di noi, quando Ludovica e i suoi schemi mentali un po' limitanti ci ha interrotto, non ho fatto altro che rimuginare senza sosta. Il tutto scappando, almeno quanto lei visto che non riusciamo a far coincidere nulla per riuscire a ritagliarci un momento tutto nostro, di quelli senza scarpe e calzini, con i piedi nudi attenti a non sfiorarsi sul divano, mentre con le dita immerse nei popcorn affrontiamo la maratona del momento in tv.

La verità, questa nuova che riguarda una parte non codificabile di me, ha preso il sopravvento su tutti gli schemi in cui desideravo di inquadrare la situazione di questo esatto momento, si è palesata all'improvviso, lasciandomi lì a non sapere cosa pensare.

Mi manca ma non so dirglielo.

Vorrei uscire da questo limite mentale, autoimposto e del tutto ridicolo ne sono consapevole, che mi porta sempre al punto di partenza senza darmi tregua.

"Aspettiamo il buio per parlare in silenzio, ti va?"

Anche stavolta non sono stato io a trovare le parole ma lei. Il suo messaggio può voler dire che anche lei si sta torturando come me, o che semplicemente vuole passare un po' di tempo col suo migliore amico, nella fattispecie io, quello che però non è così confuso e impaurito da quel buco allo stomaco che cresce di continuo.

Ed è quella friend zone in cui so che mi ha relegato, come è giusto che sia, ma che odio con tutto me stesso, a bloccarmi.

Non voglio perderla, non potrei sopportarlo.

Ma così, fingendo che sia tutto come sempre, l'ho già persa e non l'ho mai nemmeno avuta davvero, non in tutti i modi che continuo ad immaginare o a sognare ad occhi aperti.

Niente di sconcio, o forse un pochino chissà, in fondo parliamo di Becca ed è bella da far male per non averla mai immaginata cuore a cuore con me.

"Tutto ok?"

Ovvio, dovevo ancora risponderle e la stavo già spogliando. Mostro esci dalla mia testa ti prego!

"Sì. Mi squilli appena sono tutti a letto?"

"Ok ma porta una coperta, non voglio tornare presto. Se ti va..."

Ed il mio povero cuore manca un battito mentre inizio a cercare la coperta quando ancora non è nemmeno ora di cena!?

"Già presa!"

E inizio a fissare quelle odiose lancette, aspettando che le sequenze di secondi, minuti ed ore scivolino via veloci, nella speranza che concentrarmi su qualcosa di certo e che conosco mi aiuti a non far andare il cervello fuori strada anche stavolta.


Rebecca


Giallo come la voglia di vederlo, come il sorriso di quei momenti solo nostri, quelli avvolti dal silenzio che il mondo intorno a noi non ha mai capito.

Lui che conta, moltiplica, elabora schemi anche prima di scrivere un messaggio, lo so. Ed io che sogno ad occhi aperti ed invento finali per le storie che immagino vivano le persone che sfiorano distratte la mia strada, anche solo per una frazione di secondo.

In quel silenzio io dipingo le sue equazioni e lui calcola le radici quadrate dei miei colori.

Che stranezza!

Eppure siamo noi, io e Matteo, inseparabili da sempre. Con tutti i nostri problemi, con le ansie e le paure, con la voglia di sparire in mezzo alla gente diventando invisibili, lui per un motivo ed io per un altro.

E allora perché adesso non riesco ad immaginarmi semplicemente al suo fianco senza creare nuove strade da percorrere anche per noi?

Non so se sia un dono o un castigo infinito questo mio creare continuo, al di là di ciò che osservo. Io vedo sempre altro. Non mi fermo all'apparenza e scavo a fondo, anche dove e quando non ho i mezzi per farlo. Ed è lì che nascono nuovi finali per giornate tutte uguali, colpi di scena che mi tengono incollata nello stesso punto mentre da un filo d'erba tra le dita di una ragazzina distesa sul prato, con lo zaino vicino, salta fuori un grande incontro, quello che magari ti cambia la vita proprio mentre non ci stavi nemmeno pensando.

Matteo ascolta i miei racconti immaginari, così come i miei silenzi, nei quali non trova imbarazzo. Io starei ore a sentirlo parlare di cose che non capisco minimamente ma che lui rende reali.

E' strano quello che sento nella pancia in questo momento e non so gestirlo, non nei suoi confronti visto che è il mio migliore amico. Come si fa?

Ho voglia di abbracciarlo libera di tremare per qualcosa che sento nella pancia mentre lo faccio, dando fiato alla bocca solo per scoprire se anche lui sente lo stesso.

Occhi negli occhi come quella sera che Ludovica ci ha prima interrotti e poi allontanati, sempre con la gentilezza di tutte quelle omissioni che fa pure a se stessa per un quieto e saggio vivere che non capirò mai.

'Forza Becca, mettiti su una felpa e vai' mi dico, auto-incoraggiandomi, ma sto già tremando e non è di certo per il freddo. Tocco la collanina col ciondolo, respiro ad occhi chiusi, e trovo quella calma che non sapevo di avere. Sì Giallo, è proprio quello il colore giusto.

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