Capitolo 13

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13. Da tutta un'altra prospettiva


Rebecca


I mostri sono qualcosa che nell'immaginario comune deve essere affrontato e superato. Soprattutto quando a vederli sono i bambini che nel buio della cameretta li immaginano con artigli affilati per afferrare caviglie prive di calzini persi nel letto mentre ci si scontra con l'adrenalina della giornata appena trascorsa che deve trovare una valvola di sfogo. Ci si inventa di tutto per chiuderli in un armadio, mandarli via con la magia di una bacchetta speciale fatta di nient'altro che la fantasia dei genitori. Un bacio e tutto passa. Un salto nel lettone ed il profumo confortante di mamma e papà, quello che riconosceresti ovunque e che ti calma, e tutti i mostri impauriti tornano esattamente da dove sono venuti.

Ed è proprio qui che sta il problema.

Da dove sono saltati fuori? Da cosa traggono origine? Cosa li rende cosi spaventosi anche adesso che a 17 anni mi sembra di perdere l'ultimo soffio di fiato mentre sento i loro lacci al collo sempre più stretti.

Non sono mai del tutto spariti, sono sempre saltati fuori da qualsiasi posto munito di lucchetto in cui li avessi chiusi. Solo il modo di approcciarmi a quell'orribile sensazione appena riuscivo ad aprire gli occhi sono riuscita a modificare, non direi gestire ma provarci ogni volta è stato via via più facile. Un colore dopo l'altro cosi come Matteo mi aveva suggerito in un attimo di impotente sconforto non accettato. Il vero problema è rimasto esattamente dove era, sotto al mio letto. Ma non lo sa nessuno. Evito di dirlo anche a quello che adesso è il mio dolcissimo ragazzo. L'omissione non è una bugia mi ripeto, ma so che lui lo avverte quando qualcosa non va e se non tira fuori il discorso è perché sa quanto mi fa male anche e solo parlarne.

C'è stato un periodo nel quale Ludovica, spaventatissima e senza i mezzi per aiutarmi, ha raccontato tutto ad una psicologa e da lì ho iniziato una terapia che non ha mai portato a nulla di buono a mio avviso. Ero troppo piccola, inconsapevole e spaventata al punto da starmene zitta per troppo tempo facendo scattare altri meccanismi di difesa da non so cosa o chi. Non avrei mai potuto elaborare qualsiasi cosa li avesse scatenati. Ma oggi mi sento particolarmente predisposta a cambiare angolatura dalla quale osservare dentro il mio sub-inconscio e provare a dare delle risposte alla me che non fa altro che impilare domande su domande, una sull'altra in una torre altissima e barcollante che spero non venga giù all'improvviso. Un loop continuo di incongruenze e lacune che è sempre stata la mia vita, ne traccia i contorni.

Adesso sento di avere una marcia in più. Ed ecco la mano di Mat che mi stringe le dita facendomi sentire la sua presenza mentre siamo in fila al consultorio ed io fisso la locandina dell'ambulatorio di neuropsichiatria. Come a volermi ricordare che è qui con me, ma chi se lo scorda dove siamo e perché abbiamo deciso di trovarci qui, mano nella mano, in una mattina di sole, la prima in cui abbiamo saltato la scuola, rimandando il momento in cui tenteremo di elaborare un'ottima scusa, che ancora ci sfugge, per giustificare una scelta che non credo di avere il coraggio di raccontare alla mamma di Matteo, tanto meno alla mia.

Locandina messa da parte, ci ripenserò al momento giusto. Adesso qualcos'altro ha la precedenza perché un passo alla volta in questa storia che mi manda in cortocircuito con una facilità indescrivibile, vogliamo essere pronti al grande passo, quando succederà e senza ovviamente programmarlo. La nostra prima volta non può essere un impegno sull'agenda, o un appuntamento per il quale prepararsi tra mille pare. Deve seguire il flusso del momento, le sensazioni e lo sciame di farfalle che abita lo stomaco di entrambi.

Io non mi sento pronta razionalmente, ma quando sono avvolta dal calore di Matteo, persa nei suoi baci e tra musica e unicorni che vedo solo io, non sono in grado di capirci molto. Ecco perché lui che è sempre la voce della ragione del nostro rapporto, ha preso in mano la situazione che iniziava a sfuggirci di mano ed ha buttato lì l'idea di capire come prendere precauzioni per evitare che un attimo di distrazione ci mandi in crisi. Siamo inesperti entrambi e questa cosa mette lui in ansia, più di quanto non lo sia già per il semplice fatto di non aver nulla sotto controllo. Io temo più il blocco. Figlia 'imprevista' quale sono ho paura di rovinare tutto sul momento più bello per il panico di ciò che possa succedere. E siamo nell'unico posto in cui due minorenni possano pensare di trovare supporto.

'Saranno domande scomode vero?' mi soffia in un orecchio per non farsi sentire dalla donna con gli occhiali scuri seduta vicino a noi. 'Mi sa di si. Ma niente imbarazzo ricordi? Ce lo siamo promesso prima di iniziare l'iter' e sorride, per la parola usata, che non sa affatto di me.

'Sarò sempre in imbarazzo di fronte a te Becca, perché mi piaci troppo. Ma andrà bene anche questa piccola incursione nel mondo dei grandi ne sono certo.' Io mi fido di lui e della sua determinazione in questo qualcosa che è un po' più grande di noi per il momento, che spero ci riserverà soltanto una strada in discesa in futuro. Stringo la sua mano e mi lascio cullare dai rumori che ormai mi sembra di conoscere visto che siamo in attesa da un po' di tempo. Ecco perchè mi ero persa nei pensieri sui miei mostri a due teste tutti in bianco e nero.

'Signorina tutto bene?' mi sento dire ad un tratto, rivolgendomi alla donna che adesso è in piedi di fronte a noi ed ha abbassato i grandi occhiali per asciugare un fiume di lacrime silenziose che, troppo presa dalle nostre paure adolescenziali, mi sono sfuggite.

'Si, certo. Nessun problema.' Era stata la risposta secca prima di tirare su gli occhiali oltre che un freddo muro di difesa, uno di quelli che non avrebbe fatto penetrare nemmeno il più caldo dei sorrisi che avessi anche e solo pensato di poter rivolgere ad una sconosciuta che aveva un non so che di familiare, senza rischiare di passare per una fuori di testa.

Una strana sensazione alla pancia. I pensieri che partono per la tangente immaginando cosa ci faccia qui, sola, in lacrime e senza possibilità di scegliere.

Ma perché sono finita a pensare una cosa simile accidenti!?

Potrebbe anche e solo volere una prescrizione ed essere afflitta per tutt'altro tipo di problemi. Non devo scrivere storie che non conosco, non adesso che ho la mia fra le dita tutta da vivere.

Un sospiro di Mat al mio fianco e l'infermiera che apre la porta orientano i miei pensieri tirandoli fuori dal labirinto in cui erano andati a cacciarsi anche stavolta. La dottoressa dagli occhi verdi e il sorriso stanco chiama i nostri nomi, ci alziamo in sincrono e prima di chiudermi la porta alle spalle lancio un'ultima occhiata dietro di me e mi accorgo che la sconosciuta non è più seduta al suo posto, è sparita.

Un senso di stranezza che non riesco a scrollarmi di dosso e seppur con un magone indecifrabile, che mi impongo di non analizzare, seguo la dottoressa.

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