Capitolo 25

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25. In fuga


17 anni prima


Vans nere ai piedi come la felpa che tiene su i pezzi di quel che è rimasto di te. La sabbia prima fredda, adesso è semplicemente una fastidiosa spettatrice di un'alba che non avresti voluto veder sorgere. 'Non tutto può andare male!' Te lo sarai ripetuta tante di quelle volte da non tenerne più il conto, ma adesso, alle 5.43 di un giorno di fine Settembre difficile da accettare sei qui a contare i cocci e provare ad incollare ciò che non ti appartiene più, il cuore. Quello che hai lasciato, avvolto in una coperta, all'unica persona della quale hai deciso di fidarti abbastanza dopo aver ricevuto solo schiaffi da questa vita e da tutti coloro i quali ne hanno fatto parte, anche contro la tua volontà.

Non muovi un muscolo da quando la sera prima ti sei ritrovata qui, sola dentro e fuori, senza meta o perché.

I raggi del sole filtrano appena, ma gli occhiali scuri con i quali continui a nascondere lacrime su lacrime ti proteggono da tutto questo spettacolo che in un momento qualsiasi di una vita diversa avresti apprezzato. Si sentono voci lontane e bisbigli di chi rientra da una notte brava, tacchi in mano e piedi scalzi, tirando giù una gonna troppo corta indossata la sera prima. Non dovrebbe importarti ed invece provi a scorgere cosa si cela dietro un atteggiamento che ricordi fin troppo bene. Ma basta un'occhiata mentre quella ragazza si avvicina e ti guarda appena per capire che è felice di qualsiasi cosa il coraggio liquido della notte appena trascorsa abbia portato nella sua vita. Non sei tu. Non c'è sofferenza, nessuno fugge accanto a te. Tutti tornano alle loro vita, alla routine che hanno scelto o semplicemente accettato. Sei sulla spiaggia di un villaggio turistico che non ha ancora smesso di far divertire la gente. È lunedì e la quotidianità riprende il ritmo con il pullulare continuo e laborioso di chi sta per iniziare il suo turno.

Una donna sui trentacinque anni si avvicina, ha una divisa blu e i capelli raccolti, sospira e si abbassa alla tua altezza. "Tutto ok?" ma tu non rispondi. Hai perso le parole nell'attimo esatto in cui quel pianto hai smesso di sentirlo davvero perché troppo lontano fisicamente ed è rimasta solo un eco che non ti abbandonerà mai.

"Hey hai bisogno di un caffè per smaltire i postumi della serata?" senti una sincera preoccupazione, nessun giudizio anche qualora fossi davvero sbronza e barcollante, ma la verità è che nemmeno l'alcool colmerebbe il vuoto che hai in pancia, e poi non hai un soldo con te quindi è escluso che tu possa anche e solo provarci.

"Dai, tirati su, ho mezzora prima del turno, possiamo stare in silenzio insieme di fronte ad un caffè" e la sconosciuta tende la mano curata nella tua direzione. E ti ritrovi ad afferrarla, barcollando mentre ti tiri su dopo non sai nemmeno quanto tempo immobile, non solo coi pensieri te ne rendi conto tutto ad un tratto. Un loop continuo in testa, un brivido improvviso e poi senti di nuovo gli occhi riempirsi di lacrime che scivolano giù visibili nonostante gli occhiali che dovrebbero proteggere da domande indiscrete che non sapresti ancora come gestire.


"Il caffè non ha risposte ma avvicina, fidati" e con questa frase io e la donna ben curata ci siamo allontanate dalla spiaggia siciliana nella quale avrei tanto voluto scrivere una storia diversa da quella che mi porto dietro in una valigia fatta solo di dolori, uno più brutto dell'altro, in un crescendo che soffoca ma non uccide.

Le addette alle pulizie sono già lavoro, in sala tutti sono intenti a sistemare le infinite prelibatezze di una colazione al buffet che soddisferà le esigenze di ogni ospite della struttura tra qualche ora. Olga, cosi ha detto di chiamarsi la donna che sta bevendo il suo caffè insieme a quel che di me si sta trascinando dietro dalla spiaggia alla sua postazione, la reception, dopo aver approfittato di un biscotto al volo passando per le cucine. So di essere fisicamente qui ma mi sento fluttuare nel nulla e non riesco a dire nemmeno grazie di fronte ad una gentilezza alla quale non ero più abituata. Nei ricordi si insinua prepotente ogni livido o pretesa, ogni assurda recita portata avanti per tanto, troppo tempo. E mi ricordo improvvisamente che sono qui per un motivo e quel motivo mi troverà, costi quel che costi mi raggiungerà lo so, lo sento sulla pelle che tira su quel ventre adesso vuoto che ho difeso con ogni forza, anche quella che non sapevo di avere. Una leonessa che si sarebbe fatta abbattere per amore dei suoi cuccioli. Io però non sono nella possibilità di fare altro adesso. Ed ho scelto la sua vita piuttosto che la mia, che so finirà in una delle pagine di cronaca dimenticate dopo pochi giorni.

La tristezza è sparita quando ho accettato la condizione nella quale mi ero trovata mio malgrado senza averlo scelto. Ho ragionato solo dopo aver visto comparire quelle due lineette che mi avrebbero cambiato la vita con un'esplosione di gioia, se non avessi avuto a fianco un mostro travestito da perfetto compagno di viaggio, in una vita che a ventidue anni mi ha già sfinita.

Ho smesso di chiudere gli occhi di fronte a mancanze di rispetto, di aprire le gambe a comando e di camminare su gusci d'uovo da non rompere. Senza fondotinta a coprire sogni solo miei ormai infranti, o maniche lunghe con trentacinque gradi all'ombra. Ho detto basta. E l'ho pagata cara. Scappo da quel giorno, sopravvivo e non vivo da quando ha scoperto che non avevo messo fine alla vita che cresceva dentro me, così come aveva richiesto dopo che la situazione era sfuggita dal solito schema e l'occhio nero non era più possibile nasconderlo.

Ho messo in una borsa tutto ciò che avevo in denaro, nessun documento e la copertina che avevo comprato quando credevo di poter affrontare una vita al suo fianco per amore di quel cuoricino che avevo sentito battere e del quale mi ero già innamorata irrimediabilmente. Un cuore che ha lottato ogni giorno per restare attaccato alla vita, nella fuga continua di chi non poteva fidarsi di nessuno. Solo quella figura più vicina ad una madre che io possa ricordare da che la mia è passata a miglior vita, mi ha tenuta in piedi tra dolori e ansie, curando ciò che non si vedeva e aspettando l'arrivo di un pianto che ha cambiato tutto. La mia guerriera ce l'ha fatta, io ce l'ho fatta. La prima ed unica cosa importante portata a termine, da sola. Su questo punto non mi sarei certo più fatta illusioni, del resto Gianluca era stato talmente chiaro da sentire ancora dolore ovunque. Sono riuscita a portare avanti la gravidanza che lui non aveva programmato, a mettere al mondo la bambina che lui non avrebbe mai voluto, non da me almeno. Ed ora non mi resta che indossare un mantello invisibile e tirare avanti sperando che mi trovi il più tardi possibile.

La mia bambina non è ancora del tutto al sicuro. Non lo sarà finché a lui non sarà passata questa mania di controllo su me e tutto ciò che mi riguarda. Per questo ho deciso di darle ciò che io non sarei mai stata in grado, una vita normale. Priva di botte, urla, bocconi amari da mandar giù e scelte non tue da subire nel silenzio di un sorriso finto da indossare, quello che non arriva più agli occhi da troppo tempo.

Non potevo però immaginare che adesso la sua attenzione fosse tutta catalizzata da quel fagottino che profuma di purezza e speranze che io non ho mai avuto.



Olga non smette di chiacchierare e di fronte al mio silenzio trova sempre nuovi argomenti che sembrano non aver mai fine, un po' come il guaio in cui mi sono cacciata e dal quale non so come tirarmi fuori. "Ho bisogno di un posto in cui stare per un po' ma non posso spiegarti altro" avevo semplicemente detto dal nulla, in mezzo alle parole a macchinetta che la donna che mi stava davanti con una tazza ormai vuota tra le mani mi aveva scaricato addosso come proiettili sparati da una mitragliatrice.

Silenzio.

Ero riuscita a zittirla senza emettere più di un sussurro. E sapevo già che avrebbe capito ed accettato di darmi una mano, senza chiedere nulla in cambio, né pretendere spiegazioni. Lo sentivo, lo avevo capito ad un certo punto con estrema chiarezza, tra il biscotto che avevo rifiutato e le frasi senza un interrogativo che aveva continuato a tirare fuori come a darmi del tempo per pensare e raccogliere le poche parole che mi avrebbero identificata ai suoi occhi. Occhi sereni i suoi che avevano avuto solo un guizzo e poi erano tornati a quella tonalità di marrone che ricordava il miele caldo sul fondo di un cucchiaio preso per combattere il mal di gola in maniera naturale. "Puoi restare qui, nel mio alloggio finché sarà necessario. Te lo mostro subito e poi torno ad accendere il pc" e così mi ero ritrovata in una stanzetta piccola ma profumata, in perfetto ordine, con bagno annesso del quale avevo subito approfittato.

Una doccia, tante lacrime e un cambio in prestito dopo ero sicura di aver preso la decisione giusta. Adesso dovevo solo trovare un modo per sopravvivere aspettando il lontano giorno in cui le nostre vite si sarebbero incrociate, l'attimo in cui il ciondolo che le avevo attaccato alla copertina si sarebbe incastrato con quello che avevo al collo io da quel maledetto addio, il più difficile di una vita fatta di abbandoni, mancane e partenze improvvise.


Ore più tardi, Olga mi aveva convinta ad accettare di lavorare alle cucine, come lavapiatti, in nero quindi senza registrare i miei dati. E così la mia vita, quella di una nuova Anna, era iniziata per caso tra i viali alberati di quel luogo di relax e divertimento per molti, di riappacificazione o scoperte di sé, di sogni infranti da dimenticare, in un intreccio di vite che mi sarebbe piaciuto raccontare. Fogli, parole e difficoltà non solo mie avrebbero fatto da sfondo ad una vita a metà per molto più tempo di quel che avrei mai immaginato.

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