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Wanda

Le ore più calde di Cuba erano sicuramente durante il pomeriggio. Saranno state forse le cinque, e non sapevo ancora dove fossi, tantomeno come sarei tornata a casa.

Dopo i miei lunghi pianti mi ero abbastanza ripresa ed avevo passato diverso tempo in quella splendida acqua cristallina.

Mi ero stesa sotto al sole con la sola voglia di scoppiare di nuovo a piangere, ma mi trattenni perché la mia attenzione fu attirata da una donna africana con un piccolo neonato avvolto in una fascia che aveva legato al petto, ed un cartello tra le mani, su cui erano riportate diverse foto di treccine.

Ero sempre stata affascinata da quella cultura, e soprattutto da quella tecnica di trecce che tanto ammiravo.

Mi alzai e andai verso di lei incuriosita. Mi guardò da capo a piede e quando notò i miei occhi rossi assottigliò lo sguardo.

-perchè una bambolina così piange?- chiese ed io accennai mezzo sorriso.

-non è importante- scossi la testa e mi sedetti accanto a lei che stava allattando suo figlio.

-è sempre importante quando c'è di mezzo l'amore- la guardai stupita e lei abbozzò le guance.

-ci ho preso?- il suo accento era uno spagnolo cadente all'africano, ed era divertente sentirla parlare.

-si- annuii e spostai lo sguardo sul cartello ai suoi piedi.

-vorrei saperle fare anche io- la donna seguì il mio sguardo e prese il cartello in mano.

-puoi sempre imparare bambolina, come te la cavi?- mi chiese e si voltò verso di me.

-sono una parrucchiera, ma non so farle così belle come le fai tu- mi portai le ginocchia al petto, e asciugai le ultime lacrime che mi erano rimaste. Stavo già dimenticando l'accaduto di prima, e questo era un bene.

-scusi, mia figlia era interessata a farle per tutta la testa, si può fare?- all'improvviso vidimo avvicinarsi una donna seguita da una ragazzina sui tredici anni che si nascondeva timida dietro sua madre. L'africana mi fissò con un sorriso furbo.

-è il tuo giorno fortunato per imparare... certo signora- annuì contenta, e mi alzai per seguirla.

-me lo terresti tu?- mi porse suo figlio, e lo accolsi tra le mie braccia. Era un piccolo fagotto vestito con un body grigio sporco di qualche macchiolina di latte.

Mi sedetti sulle ginocchia e la affiancai per osservare il lavoro che stava realizzando sulla testa della ragazza.

Mi spiegò l'intero procedimento, e seguii attentamente tutti i passaggi. Trascorsero diverse ore, e quando stava concludendo le ultime trecce, me ne fece fare persino una che mi uscii anche bene.

-grazie, sei stata davvero gentile- la ringraziai, e gli restituii il suo bambino che era stato davvero buono per tutto il tempo.

-figurati, non ci sono più ragazze che hanno voglia di fare senza prima imparare. Ma non mi hai detto ancora come ti chiami- si complimentò con me, mentre raccattava le sue cose.

-Wanda, tu?- le chiesi, e mi strinsi nel sottile copricostume che portavo da sopra. Proprio perché ero uscita di fretta dalla casetta, non mi ero preoccupata nemmeno di portarmi una maglietta.

Non faceva eccessivamente freddo, ma con il calare del sole c'era un venticello pungente.

-Khela, che ci facevi qui da sola?- domandò e cominciammo a camminare lungo la spiaggia.

-ho litigato con il mio ragazzo e sono scappata da casa, ho camminato per un po' e mi sono ritrovata qui- spiegai e feci affondare i miei piedi nella sabbia ad ogni passo.

Dame | Pablo GaviDove le storie prendono vita. Scoprilo ora