Capitolo 9

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Mi svegliò il rumore della suoneria del cellulare, che spensi immediatamente con un colpo secco. Il mio primo pensiero dopo 'Ancora viva!' e 'ma quanto è bello Eric?' fu 'Perché questa notte non ho avuto incubi?'. Forse avrebbe dovuto essere una buona notizia, che indicava una mia guarigione miracolosa, ma non ero affatto tranquilla. Forse Lui sapeva che avrebbe potuto distruggermi molto più facilmente nella mia vecchia casa, abitata dai ricordi. Bhe, ormai avevo promesso a due persone importanti che sarei ritornata lì, quindi non potevo tornare indietro. Mi maledissi mentalmente per essermi fatta abbindolare da insulsi sensi di colpa. Eric nel frattempo non si era ancora svegliato. Probabilmente era rientrato verso le due di notte, ed erano solo le otto del mattino. Gli accarezzai una spalla ma ottenni solo un brontolio. Così mi sdraiai di nuovo, mi posizionai dietro di lui allacciandogli i fianchi con la gamba destra, lo abbracciai e iniziai a baciargli il collo. Un brivido lo percorse. Gli sussurrai sulla pelle: -Svegliati amore, è ora di andare...-
-Ancora cinque minuti, mamma.-
Risi lasciandogli un ultimo bacio e mi alzai, andando a preparare la colazione. Ad un certo punto mi sentii stringere da dietro e sorrisi, abbandonandomi sul petto di Eric. Sollevai la testa e ricevetti un dolce bacio sulle labbra.

Il tragitto non fu molto lungo, guidai io perché Eric era troppo stanco e alla prima curva si era addormentato di nuovo come un bambino. Ogni volta che lo guardavo sorridevo. Indossavo un vestitino con le spalline sottili bianco semplice, e ai piedi un paio di ballerine. Arrivammo nella mia vecchia casa, svoltai a destra e parcheggiai sul terreno davanti al garage, perché sapevo che dentro c'era la Ferrari di Harold o, come preferivo chiamarlo io, del signor Broose. Mia madre mi lanciava sempre delle occhiate quando gli davo del 'lei' anche in pubblico, ma cosa pretendeva? Che lo chiamassi 'papà'? Nessuno avrebbe mai potuto sostituirlo, nemmeno Eric, che oltretutto me lo ricordava costantemente per il suo aspetto fisico. Comunque spensi la macchina e accarezzai dolcemente la guancia del mio ragazzo per svegliarlo. Mormorò un: -Siamo arrivati?-
-Sì amore.-
-Uhm...-
Si stiracchiò e si passò una mano tra i capelli per pettinarli. -Sono presentabile?-
-Sei bellissimo...-
Si girò sorridendo per lasciarmi un dolce bacio sulle labbra. Quando ci staccammo ci guardammo un secondo, ed Eric mi chiese capendo tutto: -Sei agitata?-
Annuii. Feci un lungo respiro, poi battei le mani sul volante e dissi: -Bhe, che aspettiamo? Ormai siamo qui, tanto vale andare.- Scesi dalla macchina e lui mi seguì come un'ombra. Quello che Eric non poteva sapere era che non mi spaventava il tentativo di riavvicinamento alla mia famiglia, ma più che altro chi mi sarebbe venuto a far visita in quella casa piena di ricordi e di incubi. Per fortuna c'era lui: la mia ancora, il motivo di tutti i miei sorrisi, la ragione per cui stavo rincominciando a lottare contro il passato. Contro di Lui. Prima che potessi bussare aprì la porta il mio vecchio maggiordomo Jeffrey, che ci accolse con un: -Ben tornata milady, se posso permettermi la trovo più bella di quanto non sia mai stata.-
-Grazie Jeffrey, è un piacere essere di nuovo a casa. Aggiungo che ti trovo per niente invecchiato.-
-Sempre troppo buona, milady. Gli anni passano e portano con sé gli acciacchi della vecchiaia.-
Spostò la sua attenzione verso Eric, che sembrava leggermente in imbarazzo. Mi odiai da sola per non averlo presentato subito, ma a questo rimediò il mio maggiordomo: -E buongiorno anche a lei, monsieur. Suppongo che lei sia il compagno di milady- e gli regalò un profondo inchino, davanti al quale Eric mi guardò disperato. Gli feci cenno di rispondere, e lui disse: -La ringrazio, signore. Sono contento che Arianna mi abbia portato a conoscere la sua famiglia, e devo dire che finora sono stato colpito da questa estrema cordialità.-
Gli sorrisi annuendo e Jeffrey si tirò sui, con gli occhi glaciali che esprimevano gratitudine. Poi si riscosse rientrando nel suo personaggio e fissò un punto in mezzo a noi, dicendo: -Se i signori si vogliono accomodare dentro vi mostrerò dove riporre i bagagli. Madame Kate sarà felice di vedere che siete arrivati.-
La casa era rimasta più o meno uguale a prima, forse il signor Broose aveva fatto cambiare qualche quadro per mantenere uno stile moderno conforme ai tempi, o forse no. I ricordi erano piuttosto offuscati anche se erano passati solo tre anni da quando me ne ero andata. Jeffrey ci condusse al terzo piano e ci fece appoggiare le valigie nella mia vecchia stanza-guardaroba, che era ancora piena di indumenti. Il letto a una piazza era stato sostituito con un bellissimo letto matrimoniale a baldacchino con le coperte rosse come le tendine. Arrossii leggermente, sperando che nessuno se ne fosse accorto. Jeffrey si posizionò al centro della stanza e disse: -I padroni vi attendono nella sala da pranzo tra quindici minuti. Ah, milady- continuò rivolgendosi a me -madame Kate mi ha ordinato di riferirle che sarebbe carino che indossasse uno dei vestiti regalatole dal messere.-
Si dileguò con una grazia quasi spettrale. Sbuffai sonoramente provocando una risata di Eric, che mi chiese: -Perché non lo sopporti?-
-Non è che non lo sopporto, è che non voglio avere tutte queste cose che poi non uso. Cioè, guarda- e tirai fuori dal mucchio una pelliccia marrone chiaro a maniche lunghe che mi arrivava appena sopra le caviglie. Eric la osservò, poi mi disse: -Con il tuo fisico ti starebbe bene qualsiasi cosa. Non so niente della tua famiglia, però vorrei che tu ci andassi d'accordo solo per questi tre giorni. Non ti chiedo altro.-
Come diavolo faceva ad essere così persuasivo? Sospirai, poi lo assecondai: -Ok, però io la pelliccia non me la metterò mai!-

Scendemmo le scale intimoriti, come due bambini che avevano combinato qualche pasticcio e stavano aspettando la punizione dei genitori. Ma io non ero solo intimorita, ero terrorizzata da quella casa, da ciò che conteneva, da Lui... E sì, forse mi spaventava anche vedere mia madre Kate e il signor Broose invecchiati. Ancora di più il maggiordomo Jeffrey, che non poteva non essersi mai accorto delle strane cose che succedevano lì. Mi stavano tutti nascondendo qualcosa? Forse sì. Lo facevano per il mio bene? Probabile, ma non potevo accettarlo. Avevo bisogno di certezze in quel momento, e una stava camminando dietro di me, ma non era abbastanza. Ci dirigemmo verso la sala da pranzo, illuminata da un sofisticato lampadario (scelto dal signor Broose) posizionato proprio sopra il centro del lungo tavolo in legno di ciliegio. Le poltrone erano ricamate e lavorate da falegnami esperti, e riprendevano i motivi ondulati e riccioluti del tavolo. Ci accolse Kate, visibilmente emozionata e avvolta da un lungo abito celeste che sembrava tanto un kimono e che riprendeva il colore dei suoi occhi, facendoli risaltare. Quegli stessi occhi che avevo ereditato, e che faticavano a non far sgorgare le lacrime. Mi abbracciò sussurrandomi un: -Bambina mia...- poi si scostò mantenendo le mani sulle mie spalle per osservarmi meglio. -Come sei diventata grande...-
Diede un' occhiata a Eric, gli rivolse un cordiale sorriso e gli dedicò un attimo della sua attenzione, mentre io andavo a stringere la mano del signor Broose. -Tu devi essere il fidanzato di Arianna, Eric giusto?-
-Sì signora, è un privilegio per me conoscerla.-
Mi girai e vidi che Eric aveva fatto il baciamano a mia madre e lei era soddisfatta e un po' imbarazzata. 'Bravo amore mio! Ti adoreranno.' -Oh, che ragazzo educato. E per di più è bellissimo- commentò mia madre facendolo arrossire. Il signor Broose si avvicinò per stringergli la mano, e una volta concluse le presentazioni ufficiali ci potemmo servire a tavola, mentre Jeffrey ci osservava. Avevo sempre amato il poeta Gabriele D'Annunzio, che come capotavola al suo posto aveva fatto mettere la salma della sua testuggine Carolina. Forse un giorno, allo stesso modo, ci avrei potuto mettere il cappello del signor Broose... Un momento: questi non erano discorsi da me. Che mi stava succedendo? Era la casa? Erano le mie paranoie? Cazzo. 'Non pensarci, Arianna. Non pensarci.'
Eric dovette rispondere a un'ingente quantità di domande sul suo lavoro prima che l'attenzione si spostasse su di me è sui miei studi. -Lavoro un una compagnia pubblicitaria...-
-Davvero?- chiese il signor Broose -Stai facendo il tirocinio?-
-Lo facevo, sono stata assunta ieri perché ho superato una prova.-
-Che genere di prova?-
Eric osservava interessato la conversazione. Non ne avevo parlato con lui della mia promozione perché non ne avevo avuto il tempo, ma mi promisi di spiegargli tutto quando ne avessimo avuta l'occasione. -Dovevo convincere un gruppo di vecchi a comprare i nostri preservativi. Naturalmente senza offesa, Broose.-
Scoppiarono tutti in una sonora risata, persino Jeffrey abbozzò un sorriso mentre ci serviva l'anatra all'arancia. Mi illusi di riuscire a sopravvivere per quel giorno.

La sera io ed Eric ci facemmo una bella doccia rinfrescante e ci recammo nella nostra stanza. Ero stata attenta durante tutto il giorno a non andare mai nel bagno in cui mi si era presentato come riflesso sullo specchio. Non volevo tagliarmi la mano per la terza volta, anche perché la ferita non era ancora guarita del tutto. Si sdraiò sul letto invitandomi ad accoccolarmi accanto a lui. Gli cinsi la vita con il braccio e lui mi disse accarezzandomi i capelli: -Sono simpatici tua madre e il suo compagno.-
-Alla fine sì, era tanto che non li sentivo.-
-Poi questa casa è stupenda: sembra di dormire in mezzo agli alberi come Tarzan.-
Sorrisi, ma non ero felice. Era notte, ero nella mia vecchia casa. Tutto questo era un invito a nozze per i miei incubi. -Sei stanca?-
Annuii. -Un po'...-
-Allora dormiamo. Buona notte stellina.-
-Buona notte amore mio.-
Buona notte un cazzo. Sapevo già chi c'era ad attendermi una volta chiusi gli occhi, e questo non mi piaceva.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 29, 2015 ⏰

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