17. Getting on my nerves

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CHRISTIAN

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CHRISTIAN

Il letto quella mattina era particolarmente freddo. Non che fosse inusuale, voglio dire, era gennaio, ma oltre che freddo era anche vuoto. E Stella, di fatto, non era alla mia sinistra.

Mi stropicciai il viso con le mani e sbuffai, notando che l'orologio sul mio comodino segnava le sette e venti. Dopo qualche istante riuscii a collegarmi col mondo e capii che effettivamente per la mia fidanzata era ora di andare a lavoro.

Chiusi gli occhi di nuovo ma, quando Stella provò ad entrare piano in stanza, li riaprì di scatto. L'intenzione di non fare rumore c'era, ma quei maledetti stivali dal tacco largo la tradivano sempre. Quando si rese conto che ero sveglio, trasalì.

«Mi hai messo paura» ammise Stella, portandosi una mano al petto con fare teatrale. Poi sospirò, piegando le labbra in un sorriso delicato. «Buongiorno. Scusami, non volevo svegliarti» disse infine, venendo verso di me per darmi un bacio.

Cominciò a risistemare la sua roba nel suo borsone, che dopo si mise in spalla insieme alla sua borsa. «Ho lasciato il mio pigiama nel tuo armadio, come al solito» puntualizzò.

Sentii una morsa al petto quando mi resi conto che, l'unica cosa che ci mancava per consolidare davvero quella relazione, era adesso svegliarci la mattina insieme e ritrovarci nella stessa casa dopo una lunga giornata di lavoro. Ma in modo definitivo, questa volta per davvero.

«Adesso vado» mormorò, piantando i suoi occhi vitrei nei miei.

Afferrai piano il suo polso, onde evitare di farle male, impedendole così di andare via. Stella sussultò, rivolgendomi uno sguardo curioso ma al contempo spaventato. Mi incantai per qualche istante a guardarla, quasi dimenticandomi di quello che volevo realmente dirle, poi fu lei stessa ad incitarmi.

«Devi dirmi qualcosa? Devo andare, Chris»

Io annuii, alzandomi con le spalle fino ad arrivare alla spalliera del letto. Feci scivolare la mia mano dal suo polso fino alla sua mano destra, che poi intrecciai alla mia. Dovevo dirglielo, non volevo più aspettare.

«Forse potrei farti un po' di spazio, così puoi portarti più vestiti da casa e lasciarli qui» le dissi, mentre lei storse le labbra incerta.

«Hai troppi vestiti, impossibile farmi spazio» ridacchiò, scompigliandomi i capelli. Poi fece per andarsene di nuovo, ma ancora una volta la bloccai.

«Stella ti sto parlando, potresti ascoltarmi?» borbottai stizzito, quasi innervosendomi davanti a quell'atteggiamento così superficiale.

Per me era già difficile esprimermi, se poi a complicarmi tutto era proprio lei le cose non potevano che andare peggio. Stella mi guardò, sedendosi subito dopo sul letto.

«Chris devo farmi spazio nel traffico di Milano per essere in redazione alle otto. Non possiamo parlarne...» iniziò la frase, ma poi si ricordò. «Scherzavo, più tardi partirai per il ritiro» disse infine.

STELLA | CHRISTIAN M. PULISICDove le storie prendono vita. Scoprilo ora