26. Faith

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CHRISTIAN

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CHRISTIAN

Ero sempre stato credente. Insomma, uno di quelli che per ogni ricorrenza cristiana partecipava alle celebrazioni, andando in chiesa e condividendo quei momenti con la famiglia. Amavo il Natale, sia dal punto di vista simbolico che spirituale, come anche la Pasqua. Da bambino avevo persino letto la Bibbia così tante volte da imparare alcuni dei salmi a memoria; per la mia famiglia era importante che io crescessi religioso. E mi ero sempre sentito un figlio di Dio, cercando di fare la sua volontà come possibile.

In quelle settimane, però, mi ero interrogato troppe volte sul perché un Padre decidesse di mettere i suoi figli così a dura prova. Perché solo un momento prima gli permetteva di toccare il punto più alto e subito dopo il fondo. Era davvero necessario fare tutto ciò pur di renderci più forti e pronti per la salvezza? Il gioco valeva davvero la candela?

Mi stringevo tra le dita la collana con il ciondolo a forma di croce che mi aveva regalato mia madre, sperando di trovare risposte che non arrivavano mai. E il tempo scorreva inesorabilmente, veloce e scaltro al punto di farmi paura. E io altro non avevo che Dio, che da una parte mi aveva tolto la speranza e dall'altra rimaneva comunque l'unico che poteva ridarmela.

Mi pareva quasi che le lancette dell'orologio si muovessero più velocemente del solito, pur essendo consapevole che si trattava solo di una mia strana e assurda percezione dovuta allo stress. Stella era sotto ai ferri da due ore ormai, la situazione era peggiorata dopo la tac e i medici avevano ritenuto che fosse più giusto operarla. Mi avevano rassicurato che sarebbe andato tutto bene e che mi avrebbero presto avvisato, ma la sala d'attesa era troppo vuota e silenziosa.

C'erano famiglie con espressioni distrutte sul viso, bambini riversi sulle gambe dei genitori intenti a dormire, donne strette alle braccia dei mariti aspettando chissà quale notizia o quale miracolo. Provavo a non guardarmi intorno per soffrire meno, ma ero sempre stato troppo empatico. Come poteva Dio far finta di niente davanti a cotanto dolore?

Poggiai le spalle allo schienale della sedia, chiudendo gli occhi. Continuavo a vedere Stella, il terrore nei suoi occhi, la voce tremante nell'ammettere che non riusciva a muovere le gambe. Mi addormentai cullato dal suo pensiero, risvegliandomi poi un'ora dopo perché scosso da un medico. Era lo stesso che il giorno prima mi aveva fatto entrare in stanza per stare con la mia fidanzata.

«È successo qualcosa a Stella?» chiesi, scattando in piedi.

Il ragazzo scosse la testa, aveva si e no massimo sei o sette anni più di me. «Stella sta bene, anche il bambino. Abbiamo ridotto l'ematoma, quando si sveglierà verificheremo il funzionamento motorio. La portiamo in terapia intensiva, lei vada a casa.»

Parlava un buon inglese, era stato così gentile da parlarmi nella mia lingua madre per non farmi andare in confusione davanti alle frasi costruite in italiano. Alle sue parole sospirai, lasciandomi andare in un pianto liberatorio, probabilmente l'ennesimo di quei tre giorni.

«Vada a riposarsi. In ogni caso non si sveglierà prima di domani, ma sta bene. I parametri sono buoni.» continuò il dottore, poggiandomi una mano sulla spalla come a confortarmi.

Annuii semplicemente. «Posso vederla almeno da fuori?» chiesi poi, speranzoso. L'uomo annuì a sua volta, indicandomi la strada prima di dileguarsi.

Quando vidi Stella lì dentro, cosparsa di garze e fili, la tentazione di aprire la porta ed entrare era tanta. Non ero mai stato bravo a trasgredire le regole, poi sperimentai l'amore, trovai la mia Stella e capii che forse ne valeva la pena alla fine. Anche solo per stringerle un attimo la mano e darle un bacio sulla fronte prima di farmi cacciare fuori.

Mi limitai ad osservarla da fuori; mi piaceva guardarla mentre dormiva, a casa lo facevo sempre, ma mai come allora avevo desiderato di vederla in piedi e scattante.

Decisi poi di andarmene, avevo bisogno di chiudere gli occhi e smettere di pensare per un attimo. Chiamai mia mamma durante il tragitto, perché sapevo fosse l'unica in grado di calmare la mia anima quel momento. Era in situazioni come quelle in cui desideravo avere mamma e papà vicini. Avevo venticinque anni e un bambino stava per sconvolgermi l'intera esistenza, ma questo non mi toglieva il diritto di essere ancora e sempre figlio.

«No, mamma. Non si è ancora svegliata, domani andrò da lei. Chiederò al mister un permesso per assentarmi dall'allenamento, anche se questo significherà non giocare domenica.» sospirai, fermandomi ad un semaforo rosso.

Poco mi importava delle conseguenze lavorative in quel momento, quando l'unica cosa che volevo era che Stella stesse bene. Non pensavo a nient'altro, la mia priorità era Stella e lo era sempre stata. La mia vita senza di lei era come vuota e andavo avanti per inerzia da giorni, già da quando aveva deciso di tenermi lontano. L'incidente, chiaramente, non aveva fatto altro che aggravare le cose.

Mi sentivo frustrato, davo la colpa al divino semplicemente per illudermi di non aver rovinato tutto da solo. In realtà sapevo quanto fossi bravo a mandare a monte tutto ciò che creavo; un momento prima avevo tutto, quello dopo lo perdevo perché ero un completo idiota.

«Il campionato sta per finire, non manca molto. Due giornate ancora e poi tornerò a casa. Spero di farlo con Stella...» mormorai.

Se ripensavo ai piani che avevamo fatto, quelli dopo la fine del campionato, la saliva mi si bloccava in gola. Volevo farle conoscere tutta la mia famiglia, non vedevo l'ora di vederla tenere in braccio mia nipote e interagire con lei, sognando il momento in cui al posto di Avery ci sarebbe stato nostro figlio. Mi aveva persino fatto promettere che avrei dovuto rinunciare alla linea per un giorno per portarla al museo del cioccolato di Hershey, assaggiando ogni campione con lei. E io avevo acconsentito, perché avrei fatto davvero qualsiasi cosa pur di vederla felice.

«Sto riattaccando, sono arrivato a casa. Ti aggiorno domani. Buonanotte mamma, saluta tutti.»

Salutai mia madre al telefono e parcheggiai la macchina nel mio posto auto, prima di mettere il blocco e salire in casa. Avevo solo bisogno di dormire, o perlomeno di chiudere gli occhi e illudermi di farlo. Sapevo bene che, anche quella notte, il cervello non si sarebbe fermato per darmi tregua.

Spazio autrice 💌
Ciao amiche 🤍 Come state? Lunedì ho dato l'ultimo esame della sessione, quindi adesso è davvero finita finita. Questo semestre avrò meno lezioni rispetto al primo, per cui spero di essere un po' più costante con gli aggiornamenti.

Questo capitolo non è il massimo, ma ci tengo molto. È un tema un po' delicato e, vista la situazione in cui versa la nostra Stella, volevo inquadrare un po' solo il pensiero di Christian. È effettivamente solo di passaggio, dal prossimo vedremo poi se le cose andranno meglio.

Fatemi sapere cosa ne pensate, ci vediamo al prossimo aggiornamento!

Vi abbraccio,
G 🫀

STELLA | CHRISTIAN M. PULISICDove le storie prendono vita. Scoprilo ora