Prologo

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Perché essere tristi non è mai una scelta ma sempre una conseguenza?

Simone non fa altro che chiedersi questo, da quando ha deciso di lasciarsi andare in questo letto e chiudere gli occhi alla luce del sole che traspare dalla tenda della sua camera.

E non comprende neanche perché ci sia il sole, fuori dalla finestra: è qualcosa che lo fa arrabbiare, soprattutto perché il clima cupo di Glasgow è stato uno dei motivi principali per cui è salito su quell'aereo dieci giorni fa e ha deciso di raggiungere sua madre, che alla fine dell'estate, è tornata qua a lavoro lasciando la villa alla nuova famiglia felice.

A Glasgow dovrebbe piovere sempre, anche se è agosto, eppure in questi giorni il sole splende e ha la forte impressione che gli stia facendo un dispetto.

Così come la vita, l'umore, la tristezza che lo ha perseguitato da quella mattina dolorosa in biblioteca.

Da bambino era sicuro che essere triste fosse una scelta.

Quando vedeva sua madre soffrire così tanto si domandava perché lo facesse, come se fosse una azione quotidiana stramba alla quale faceva fatica a disabituarsi.

Simone era troppo triste per capire che la tristezza non fosse una scelta ma una conseguenza.

E quando suo padre cominciò ad essere sempre meno presente nella sua vita, cominciò a farsene una idea.

Non si sta male solo per le ginocchia sbucciate o perché Babbo Natale non ti ha portato il giocattolo che volevi.

Simone è cresciuto, oramai è grande e un po' di cose sulla vita le ha imparate, eppure ora si sente come se in questa stanza con lui ci fosse anche il bambino che è stato, che lo guarda e che lo giudica perché guardalo, che viziato, sta scegliendo di essere triste quando potrebbe essere felice.

La pazzia è una delle qualità di cui Simone in questo periodo vuole fare volentieri a meno, ci manca solo questo, ma allo stesso tempo è davvero tentato dal mettersi a parlare da solo e a rispondere al piccolo Simone che è stato che non è vero, che essere triste non è una scelta, è una conseguenza quando la vita sembra divertirsi ad accanirsi contro di te e a servirti su un piatto d'argento sofferenze dopo sofferenze, come se fossero le portate principali di un menu doloroso che lui non ha mai ordinato o preteso di assaggiare.

E Simone ci ha provato a non lasciarsi andare.

A scegliere di essere perlomeno sereno e a guardare gli aspetti positivi della sua vita, ad esempio come il fatto che suo padre sia uscito indenne dall'operazione e abbia risolto i suoi problemi con Anita.

Vedere suo padre riprendersi giorno dopo giorno è stata sicuramente l'unica gioia a cui si è aggrappato per un lungo periodo in cui, tra le altre cose, Simone aveva imparato a non dare la vita per scontato e a godersela per quello che è.

Però poi i giorni sono passati, il benessere di suo padre è tornato ad essere abitudine, così come il suo cuore ridotto in mille pezzi da quell'addio dato a Mimmo tra le mura della biblioteca.

Sono notti che ci pensa.

In verità, è più di qualche notte che lo fa.

Ogni volta che chiude gli occhi, rivede il volto sofferente di Mimmo mentre gli diceva addio, guardandolo con un amore a cui Simone non era per niente abituato.

Nessuno lo aveva mai guardato così, con questo bisogno viscerale di amarlo ma la consapevolezza di non poterlo fare per qualcosa più grande di lui.

Mimmo lo ha amato senza paure, senza riserve.

E la vita, come tante altre cose, glielo ha portato via.

La fine della loro storia l'ha elaborata come un lutto ma con gli stadi pensati tutti di testa sua: distrarsi con suo padre, guardare il bicchiere mezzo vuoto, poi arrabbiarsi nel sentirtene la mancanza, desiderare di prendere a pugni la vita per averlo messo di fronte a questo nuovo tipo di dolore.

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