Capitolo 6

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La possessività è un male da evitare, nulla ti appartiene, nulla sarà mai tuo. Tu sempre conviverai con qualcosa o qualcuno ma questo mai ti apparterrà. Non avrai potere su di lui e lui non avrà potere su di te.

Questo varrà per sempre.

Questo è quello che suo padre le aveva sempre insegnato.

Quale infima, subdola, crudele bugia.

Tutto poteva essere posseduto, tutto poteva appartenerle e lei poteva appartenere a tutto. Questo era ciò che le aveva insegnato la sua nuova vita.

La cerimonia si era conclusa da ormai una settimana. In quei giorni René aveva appreso diverse cose dai vampiri.

Prima fra tutte il fatto che la leggenda che fossero creature della notte in eterna lotta con il sole era vera. L'alba i vampiri riuscivano a sopportarla e anche alcune delle prime ore della mattina, ma quando il sole torreggiava sopra le loro terre li vedevi rapidamente rifugiarsi nelle loro case pronti per addormentarsi.

Non è che la luce bruciasse loro la pelle come si può vedere nei film, era solo tremendamente fastidiosa. Senza dei potenti occhiali realizzati da alcuni degli scienziati più prestigiosi del clan, i vampiri non riuscivano nemmeno a vedere a causa dei raggi solari.

Non era pericoloso, erano pur sempre creature immortali, una cosa banale come il sole non poteva certamente rientrare tra i loro punti deboli.

La seconda cosa era quanto ancora loro credessero di essere superiori a qualsiasi altra creatura di quel mondo. Questo non era mai cambiato nei secoli ed era sempre stato il principale motivo di odio fra loro e i licantropi.

La vanità e il troppo orgoglio era il punto debole di entrambe le specie. Isolarsi all'interno di una recinzione, però, non era stata sicuramente una mossa vincente.

A René non era stato dato ancora il permesso di allontanarsi da sola dal castello e ciò la faceva sentire come un animale in trappola. Tuttavia, era riuscita finalmente a stringere un rapporto pacifico con le schiave che occupavano costantemente i corridoi.

Ogni volta che ne incrociava una non mancava mai di salutarla con un leggero inchino. Non abituate a una simile gentilezza riusciva sempre a stupirle piacevolmente. Presto quasi tutte diventarono delle fidate amiche con le quali passare il tempo della notte a spettegolare.

Ciò che tutti in quel complesso di torri ignoravano era il fatto che alla fine dei giochi, le schiave erano le uniche ad avere occhi ovunque costantemente. Erano talmente anonime che spesso i nobili nelle stanze continuavano le loro conversazioni private senza nemmeno rendersi conto della loro presenza.

Segreti di ogni genere affollavano la mente di ognuna di loro e quando iniziarono a conversare con René non si trattenevano dal vuotare il sacco con lei. Come un fiume in piena si ritrovò travolta da ogni pettegolezzo di palazzo, divenne il suo unico intrattenimento finché non scoprì un giorno una biblioteca.

In una delle sue quotidiane escursioni mentre tutti dormivano, René aprì una stanza che ancora non aveva visitato, scassinando la serratura con un artiglio e si ritrovò davanti un'immensa stanza colma di sedie, tavolini e scaffali.

Questi ultimi andavano a formare una sorta di labirinto di conoscenza.

La principessa non riuscì a riconoscere quelle specie di mattoncini colorati che occupavano gli scaffali e ne prese uno in mano.

Lo esaminò tra le dita e scoprì che quel mattoncino si poteva aprire, simboli strani apparvero su una distesa di bianco, lei non riusciva a capirci nulla.

All'improvviso ricordò di uno degli insegnamenti di suo padre. Le aveva parlato una volta di mattoncini del genere, ma le aveva sempre detto che solamente le streghe di Ruega possedessero oggetti simili. Che ci facevano nelle mani dei vampiri?

La notte della luna rossaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora