16. Erica

44 8 11
                                    

Spegne il motore, tira il freno a mano, si ficca il cellulare in tasca ed estrae la chiave dal cruscotto. La stringe irrequieta nel pugno, alza la levetta della portiera e spinge col gomito verso l'esterno, per gettarsi fuori, sul selciato umido del parcheggio.

Non c'è tempo per controllare la segnaletica, per scoprire se sia permesso o meno lasciare la macchina qui; lei ha solo visto il posto libero dalla strada, e tanto le basta. Sono ben altre, e ben più pregnanti, le direttive che dovrà disattendere stasera, e non sarà certo il codice della strada a indurla a retrocedere dal suo intento.

Sbatte la portiera senza guardare, e già sta correndo verso la meta. Si volge all'indietro col busto solo per puntare la chiave contro la Twingo, e clack: lo schiocco metallico della chiusura è già lontano, a molti metri di distanza, sovrastato dall'ansare del suo respiro. Di fronte a lei, la mastodontica scritta gialla e cubitale, "STAZIONE AUTOLINEE", si staglia sull'edificio grigio e squadrato, composto per tutta la facciata da un'interminabile sfilza di finestroni.

Supera il blocco di auto blu del servizio di car sharing al centro della piazzola e svolta a destra: mancano solo pochi metri. Laggiù, oltre i tre archi in pietra che affiancano il rudere del Castello di Galliera, il bianco sporco della Scalinata del Pincio già riflette il lucore delle decine di lampioni che lo costellano a intervalli irregolari come nel braccio di spirale di una galassia. 

Attorno a lei, solo i rumori del traffico, solo il parlottio dei radi gruppi di passanti, in massima parte giovani, forse studenti. Non c'è tempo per loro. Quando supera l'arco e si trova in fondo alla gradinata, in piazza XX Settembre, due ragazzi se ne stanno lì, in piedi. Di colpo, interrompono la loro conversazione e si voltano a squadrarla. Uno di loro tiene un libro sottobraccio, l'altro sorregge una busta di Drum, tiene un filtrino in bocca.

Fanculo.

Con le dita strette al corrimano di marmo, si incurva appena con la schiena in avanti, deve riprendere fiato. I suoi occhi sono pieni solo del primo dei lunghi gradini della salinata. Il cuore procede per balzi, la gola le brucia... Ma non c'è tempo neanche per il ristoro.

Rialza le spalle.

Davanti a lei, al di sopra della fontana incastonata nel fronte, la ninfa, esausta, sembra sul punto di perdere i sensi, di lasciarsi andare al corso del fato, senza opporre resistenza, tra i viscidi tentacoli della piovra gigante. 

Lasciarsi andare. Lasciar perdere. Arrendersi.

No.

Adesso che la luce di quella moltitudine di pseudo-stelle la investe sul volto, anche lei è come parte di quel complesso, risucchiata. Ma non ne condividerà il destino. Alza lo sguardo al cielo. Nemmeno quella colossale struttura, nemmeno la sottile umidità che svapora dal suolo e si condensa in nebbia attorno alle palle luminescenti, riesce a mettere in ombra l'abominazione verdognola nel cielo, l'immensa ramificazione di venature che sembra avere il suo centro pulsante al di là della linea dell'orizzonte notturno.

«Dove sei... Falena?»

Guarda destra, poi a sinistra, in ambo le direzioni in cui si dirama la scala. L'aveva immaginata seduta lì o là, a portata di mano. Per quanto irrazionale possa sembrare, credeva che, dopo esser scesa dall'auto, avrebbe subito distinto la sua figura, nell'esatto punto in cui si era prefigurata di trovarla.

Ma non può fermarsi.

Si lascia la ninfa alle spalle. 

Con la mano salda al parapetto, percorre la grande rampa di sinistra: un gradino dopo l'altro, poi due a due, ignora il dolore che le percorre i muscoli delle gambe, quasi non ce la fa più... E supera anche l'altorilievo di Colombarini.

Purgatory MotelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora