fidati ancora

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Fidati ancora di me. Fidati ancora di me. Fidati ancora di me.
Mi ronzava nella testa quella richiesta bisbigliata in maniera misera ed innocente, come se non fosse poi causa di tanto sforzo. Mi fischiava nelle orecchie come un treno, ed io ferma sui binari a tremare nel terrore di prenderlo in pieno.

"Fidati" mi avvolgeva interamente, mi trascinava giù in un bagno caldo e mielenso che mi ammorbidiva, che mi impigriva, senza darmi modo di muovermi solo di ascoltare il fischio del treno.

"Ancora" trafiggeva la mia coscienza da parte a parte. Sarebbe stato meglio ometterlo quel "ancora", fingere non fosse una volta ancora. Ero dell'idea che pronunciarlo così ad alta voce fosse un po' il gioco di una sadica, di una che si divertiva a tenere il conto delle volte che ti aveva fatta fessa. Ancora, ancora e ancora.
Sporcava qualsiasi fiducia di per sé, lo rendeva un suicidio cosciente, e bisognava farsi investire dal treno per non ascoltarlo quel "ancora", per prendersi gioco della propria dignità.

"Di me" forse era la parte che faceva meno male, poteva essere insulsa, ma sotto i miei occhi mutava costantemente. Rimaneva sospesa al treno e alla lama che ti prendevano per prima. Se ti trovavi sanguinante, o sotto le rotaie in pezzi, poteva suonare dolce quel me. Nella disperazione si sarebbe innalzato chiunque a proprio salvatore.

Se sopravvivevi ad entrambe allora forse rimaneva abbastanza dignità per essere oggettivi, per dare corpo e volto a quel me di cartapesta.

"Fidati ancora di me, ti prego" ripeté davanti al mio cuore deluso.
"Ti prego, dammi un'altra possibilità" sorrise con poca disperazione, con la malizia di un vincitore.
Rimasi spiazzata sul momento, nel mio bagno caldo, sulle mie rotaie ad attendere l'arrivo della fine, o il colpo dell'adrenalina per la fuga.

E mentre rimanevo lì, nel mio tepore, ero scandalizzata dal realizzare quanto segretamente volessi stare ferma, passiva a non fare nulla. Quanto lo desiderassi ferocemente quel treno in pieno cuore a farmi a pezzi ancora.
Come la volta prima; le avrei detto di sì, il treno mi avrebbe colpita, io sarei sprofondata in una fragilità disarmante piena di dolore, di abbandono e bisogno. L'odio per me stessa sarebbe tornato ad ogni bacio spinto sulla pelle, sugli ormoni. E la delusione, il tradimento sarebbe tornato ancora. Ancora. Ancora.
Non ci avrei guadagnato nulla se non un intenso dolore, che mi avrebbe distrutto fisicamente ma fatto sentire la protagonista di un romanzo drammatico. Quale illusione. Quale masochismo. Quale egoismo. Non eravamo nemmeno più in una relazione a due. Forse lei mi usava per sentirsi forte e io la usavo per sentirmi debole, forse eravamo solo strumenti, pezzi che combaciavano, ma che non stavano mai insieme; ci appoggiavamo l'un l'altra di schiena solo per ripiegarci su noi stesse, con l'egoismo di due affamate di emozioni e affermazione. Cha tragedia amare male.

I suoi occhi mi attendevano, come quelli di un attore sul palco che nel silenzio aspetta l'attacco per la prossima battuta..
Volevo consegnarmi a lei con fiducia ed abbandono? Certo che sì.
Ma potevo farlo ancora? Ancora e ancora e ancora e ancora?
Quanto infinito esisteva in quell'unica parola che si faceva eterno in terra, che si faceva girone a spirale infernale, senza fine.
Forse l'eternità era stata creata proprio in quel momento, sulle sue labbra, sotto il potere di quel "ancora", si era dispiegata tirata dalla mia fiducia per l'infinito intero.

"So che ti sto chiedendo molto... so che non merito un'altra occasione.
Ma solo ancora una volta puoi farlo? Per me? Per noi?"

Sospirai, il mio intero animo filosofo sospirò. Conosceva la risposta.

"No. Non posso. Vorrei, lo desidero con tutto il mio istinto suicida, ma non posso.
Non riesco a fidarmi di te ancora.
Non dipende da me. Questa fiducia che ha fatto da benzina... è semplicemente finita. Quindi no, non posso.
D'altronde come hai detto tu; non meriti un'altra occasione"

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