First tought love 2/2

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Ora potete solo immaginare quanto possa essere imbarazzante, incrociare lo sguardo dell'amore della propria vita (perché ormai era certezza per il mio cuore) e sapere di avere un aspetto tremendo.
Potevo solo immaginarmi da fuori, con il mascara colato tra le lacrime, e il moccio che mi scendeva dal naso.

Avrei voluto scomparire, ma davanti al suo sorriso cercai solo di prendere quell'istante magico e nasconderlo nel mio cuore.
Le mie emozioni scalpitavano nel mio sterno, ed era inspiegabile, folle, ma lei era l'amore. L'amore era lei.

Sentendo i miei amici chiamarmi venni strappata da quell'istante eterno. Velocemente mi asciugai il volto, passando più volte i polpastrelli sotto gli occhi per nascondere il nero colato del trucco.
Non piangevo mai davanti alle persone, non piangevo mai a dire il vero, e farmi vedere sarebbe stato un enorme colpo basso per il mio orgoglio.

Eppure quella ragazza di cui manco sapevo il nome, non solo aveva visto le mie lacrime imbarazzanti e il mio viso rosso dallo sforzo, ma era anche stata la causa della mia commozione.
Ed io non piangevo mai.

"Alis! Che fai lì?
Dai, muoviti che stiamo tornando in classe!" mi chiamò Laura, la mia compagna di banco.
"Sì! Arrivo!" urlai di risposta, camminando verso di lei, ma continuando a guardare alle mie spalle, alla ricerca di quella ragazza, o quell'angelo.

Passai i giorni restanti a pensare a lei, e a chiedere ai miei amici se sapevano chi fosse, senza mai dimostrare troppo interesse onde evitare domande invasive.
Mi sembrava un sentimento fin troppo puro e prezioso per parlarne ad altri, per dirlo ad alta voce. Avevo paura che solo sentire parlare di lei dalla bocca di qualcun'altro o dalla mia, mi avrebbe scosso riportandomi alle lacrime.
Non riuscivo prorio a togliermela dalla testa, mi ossessionava l'idea fosse lì da qualche parte, nella mia stessa scuola, senza che io potessi trovarla.

Avevo fretta, per qualche ragione inspiegabile, temevo di perderla prima di averla, o di averla già persa. Di perdere il momento.
Era lei l'amore, dovevo trovarla, o non me lo sarei mai perdonata.
Era qualcosa di inspiegabile, una connessione assurda, che nel mio cinismo e distacco non avevo mai provato per nessuno. Avevo bisogno di sapere se lei provava lo stesso per me, se sapeva di avermi sviscerata con la sua musica, se non avesse suonato la propria anima eccheggiando nella mia.
Avevo bisogno di sapere se era destino, se combaciavamo perfettamente, se anche per lei fosse così, se lo sentisse dentro nelle ossa, nello stomaco, nelle lacrime.

Ed avevo paura. Avevo una terribile paura di essere solo pazza io.
Lo sapevo, sapevo di star correndo troppo con la fantasia, con le emozioni, ma non avevo idea di come fermarle. E mi uccideva l'idea che potesse essere solo tutto nella mia testa, come una qualsiasi stupida adolescente che prende un colpo di fulmine.

Eppure, io credevo di essere diversa da una qualsiasi stupida adolescente che segue l'amore.
Io l'amore non l'avevo mai cercato, ma l'avevo criticato fin troppe volte nelle lacrime delle mie compagne.

Continuai a cercarla tra i corridoi.
Passeggiavo per i corridoi buttando un occhio nelle classi aperte alla ricreazione.
La scuola era grande e non avevo mai avuto interesse nel girarla tutta, non fino ad allora.

Un venerdì ripercorsi l'ultima ala di corridoi della scuola. Quella portava alla segreteria e più in là all'aula magna.
Lì, mi sembrò di scorgerla, nella classe 3C. Io ero di quarta.
Mi sembrò di vedere il suo volto, ed i suoi capelli castani corti, ma non ne fui sicura, perché l'insegnante chiuse la porta, poco dopo il suono della campanella.

Ero troppo, troppo eccitata per quella scoperta. Così decisi di ritardare alla lezione, ero brava ed amata dai professori, non si sarebbero arrabbiati.
Avevo tutte quelle scosse nel cuore, non mi accorsi nemmeno dei miei passi che mi portarono in aula magna.
Mi sembrava di averla più vicino in quel posto, ci andavo spesso.
Anche solo per cinque minuti, a pensare a quelle lacrime e quelle emozioni, a quegli occhi e quel sorriso.

A volte mi sedevo persino allo stesso posto, per ricordare meglio quel momento, come una drogata di amore. So che vi sembreró pazza, e come biasimarvi anche io mi sembravo una schizzata fuori controllo, ma quell'istante, era stato come tornare a vivere, quelle lacrime erano state come tornare a respirare. Ricordavo cos'era la vita e non volevo scordarla, una scintilla di speranza per il futuro mi guidava.

Quando scorsi il palco mi immobilizzai. Poco dopo la melodia dell'archetto spinto contro le corde risuonò, e lei era lì, ad occhi chiusi, da sola, a farlo succedere di nuovo.
Iniziai a tremare brutalmente, mi sentivo come l'aria intorno a lei, scossa da quelle note impetuose.
Nel silenzio di due persone in una stanza, mi parve di sentirla eccheggiare ancora meglio dentro di me.

Era una melodia viva.
Non era triste e neppure felice, era vita, era il caos; gioia e dolore, angoscia, libertà, passione, bisogno, vita. Tutte quelle emozioni scoppiarono all'unisono nel mio cuore, ad ogni movimento del suo braccio,  una parte di me veniva falciata dalle corde, esplodendo dentro il mio petto.

La sua figura divenne di nuovo un dipinto ad acquarelli bagnato dalle mie lacrime. Avevo delle emozioni, ero viva. L'intenso dolore al petto lo dimostrava; stavo vivendo.
Io che non sentivo niente, che vivevo a logica e cinismo. Ero viva, ero parte di molto di più.
E lei era maestosamente bella, elegantemente potente. Non mi capacitavo di come potesse essere umana come me.

Sembrava la melodia di quella canzone che ogni volta che senti ti distrugge, ricordandoti quella cosa che hai perso ed amato troppo, ricordandoti la gioia e la nostalgia.
Ma non era nessuna canzone era semplicemente lei.
Non riuscì a contenerle, le lacrime continuavano a cadere, nonostante provassi ad asciugarle, ma il cuore bruciava tanto forte.
Singhiozzai, incapace di trattenerlo.

Ma mi maledissi all'istante, perché la musica cessò, e in quello stesso istante mi lanciai dietro una colonna, ad asciugare le lacrime, sforzandomi disumanamente per trattenere i singhiozzi.
Sperai con tutto il cuore non mi avesse visto.

"Ehi? C'è qualcuno?"

Tremavo per la paura di essere trovata.
Volevo trovarla, e l'avevo trovata, ma non volevo lei trovasse me così.
Non doveva più vedere le mie lacrime, nessuno doveva vederle.
Era così imbarazzante.

Che idiota starete pensando voi.
Che idiota sì.
Sembravo una sfigata accucciata per terra, con la schiena contro la colonna, a premermi una mano contro la bocca e passare l'altra sotto gli occhi.

Sentivo i suoi passi eccheggiare nell'aula, e il mio cuore pompare nel mio sterno.
Non avevo idea di che diavolo stavo facendo.
L'avevo trovata, dovevo solo presentarmi, ma ormai mi ero nascosta come una cretina!
Insomma, quale estraneo salta fuori da una colonna all'ultimo, magari dicendo anche "We, ti spiavo come una psicopatica. Comunque sono l'amore della tua vita."?
Potevo solo pregare non mi vedesse, no? Ma così l'avrei ripersa, così avrei dovuto ricominciare da capo la mia ricerca, e il mio cuore urlava non ci fosse tempo, divorandomi.

Pensavo di morire.
Il momento più brutto, imbarazzante e stupido della mia vita.
Continuavo a ripetermi quanto fossi cretina, di restare in silenzio.
Sentivo persino la mia incoerenza deridermi; quella che aveva deriso le sue amiche innamorate, ora stava nascosta dietro ad una colonna, come una stupida, col rischio di sembrare una stalker agli occhi della propria crush. Il cuore che martellava nel mio sterno.

Sentivo i passi sempre più vicini, in ogni caso sarebbe dovuta passare vicino a me per uscire.
Parlai prima di farmi vedere.
“Scusa… ti ho sentita e mi sono commossa. Mi vergognavo” ammisi con un innocenza impressionante prima di uscire dal mio nascondiglio.

Lei mi guardò, ci guardammo entrambe, per lunghi interminabili secondi. E forse, forse anche lei provó quello che provai io.
Sorrise, mentre il suo sguardo scintillava sorpreso da me o dalle mi lacrime.
“Tu” mi indicò meravigliata.
“Ti stavo cercando”

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