Evelyn Wright...
Il cielo fuori dalla mia finestra era di un grigio opprimente, come se anche il mondo avesse deciso di riflettere il mio stato d'animo. Le mie mani tremavano leggermente mentre stringevo il diario che avevo tenuto nascosto sotto il cuscino per anni. Era pieno di pensieri, di sogni infranti, di pagine scarabocchiate con parole di dolore. L'avevo riempito con la speranza che un giorno qualcuno avrebbe capito, che avrebbe letto le mie parole e avrebbe saputo che non ero solo una ragazza triste, ma qualcuno che lottava ogni giorno contro un'oscurità che sembrava non avere fine. Avevo sempre pensato che avrei trovato una via d'uscita, che avrei incontrato qualcuno o qualcosa che mi avrebbe salvata. Ma quella speranza si era lentamente dissolta, come una nebbia che si dirada al sole. Ora, la mia unica compagnia era questo senso di vuoto che mi consumava dall'interno, una sensazione che non riuscivo a spiegare a nessuno. Avevo provato a parlarne, a chiedere aiuto, ma le risposte che avevo ricevuto erano state superficiali, come se il mio dolore non fosse reale, come se fosse solo un capriccio adolescenziale. Le persone intorno a me sembravano vivere in un mondo diverso, un mondo pieno di colori e suoni che non riuscivo a percepire. Era come se ci fosse una barriera invisibile tra me e loro, una barriera che mi isolava in un silenzio assordante. Cercai di adattarmi, di fingere che tutto andasse bene, di sorridere quando dovevo, ma ogni sorriso era una pugnalata al cuore, un promemoria del mio fallimento nel trovare la felicità. Avevo sempre cercato di essere forte, di non mostrare la mia vulnerabilità, ma ora non avevo più energie per mantenere quella facciata.
Mi alzai lentamente e mi avvicinai alla scrivania. C'era una piccola scatola di legno che avevo sempre tenuto chiusa a chiave. Dentro c'erano lettere che avevo scritto a me stessa, lettere che non avevo mai avuto il coraggio di leggere fino in fondo. Presi una di quelle lettere e la aprii con mani tremanti. Le parole erano sfocate dalle lacrime che minacciavano di scendere. "Cara me stessa," iniziava la lettera, "so che stai soffrendo. Sapevo che ti sentivi persa e sola. Ma volevo che tu sapessi che eri amata, anche se non riuscivi a vederlo allora."
Mi chiesi se fosse vero, se qualcuno là fuori mi amasse davvero. Forse i miei genitori, forse i pochi amici che avevo. Ma quel senso di amore era così lontano, così intangibile. La solitudine che sentivo era così profonda che sembrava inghiottirmi ogni giorno di più. Provai a distrarmi, a trovare qualcosa che mi desse un motivo per andare avanti. Dipinsi, scrissi, cantai, ma ogni sforzo sembrava inutile, come cercare di riempire un pozzo senza fondo. Ritornai al letto e mi sdraiai, fissando il soffitto. Pensai a tutti i momenti che avrei potuto vivere, a tutte le risate che avrei potuto condividere, ma che ora sembravano solo sogni irrealizzabili. La vita mi era sembrata sempre così difficile, un ostacolo dopo l'altro, e io non avevo mai trovato la forza di superare veramente nessuno di essi. Mi sentii come una naufraga in un mare di disperazione, senza una riva in vista. Il mio sguardo cadde sulla bottiglia di pillole sul comodino. Le avevo accumulate nel corso del tempo, sapendo che un giorno avrei potuto averne bisogno. E ora, quel giorno era arrivato. La tentazione era così forte, una promessa di pace che mi chiamava con voce dolce e rassicurante. Pensai a cosa avrebbe significato per chi mi conosceva, per chi mi amava, ma quel pensiero non riuscì a trattenermi. Il dolore era troppo grande, troppo insopportabile. Presi la bottiglia e la aprii. Le pillole caddero nella mia mano, fredde e dure. Respirai profondamente, cercando di calmare il battito frenetico del mio cuore.
Quello fu il mio ultimo atto di controllo, la mia ultima decisione. Non fu una scelta fatta alla leggera, ma una scelta fatta dopo anni di lotta e sofferenza. Chiusi gli occhi e vidi una luce, una luce che forse era la fine di tutto quel dolore.
Alla fine, sperai solo che chiunque leggesse quelle parole potesse capire. Non volevo che nessuno si sentisse in colpa, non volevo che nessuno pensasse che avrebbe potuto fare qualcosa di diverso. Quella era la mia decisione, e l'avevo presa perché non vedevo altra via d'uscita. Forse, in qualche modo, la mia storia avrebbe potuto aiutare qualcun altro a capire che non erano soli, che il dolore era reale, ma che c'erano altre soluzioni, altre vie d'uscita.
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In The End It's Him & I
ChickLitEvelyn era una ragazza di Chicago con gli occhi smeraldo, profondi e inquieti, che riflettevano un'anima tormentata. Sin da giovane, imparò a nascondere il suo dolore sotto una facciata di indifferenza. Le sue cicatrici non erano solo sulla pelle, m...