Capitolo 4

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Portai un vassoio carico di bicchieri verso il retro, quando il mio sguardo incrociò quello del mio capo, Kevin Williamson. Era un uomo dai capelli neri e occhi blu come lo zaffiro. Aveva un'aria seria, cosa che aveva sempre, dato che parlava poco con i miei colleghi. Apriva bocca solo per lamentarsi.

La giornata si trascinava lenta e monotona, come tutte le altre. Ero stanca, esausta dalla routine e dalla continua pressione di dover fare tutto alla perfezione. Kevin non era il tipo che tollerava errori, e io vivevo con la paura costante di sbagliare.

Finalmente, arrivò il momento di staccare. Tolsi il grembiule e lo riposi nell'armadietto, cercando di evitare l'ennesimo incontro con Kevin. Mi diressi verso l'uscita, ma proprio mentre stavo per uscire dalla porta del retro, sentii la sua voce chiamarmi.

<< Evelyn, nel mio ufficio.>> disse con voce roca e profonda, da farmi venire i brividi lungo la mia schiena.

Obbedii e lo seguii.

Non appena entrai fui accolta da un'odore forte di tabacco e menta. Mi sedetti sopra la sua poltrona e incrociai le gambe, mentre lui mi fissava.

Si sedette davanti e appoggiò le gambe sopra la scrivania, mentre estrasse una sigaretta dalla tasca per poi iniziare a fumarla.

<< Evy, ho notato che ultimamente sei distratta.>>

<< Mi spiace, cercherò di stare più attenta.>> risposi mentre abbassai lo sguardo a terra.

<< Non è questione di stare più attenta o meno, ma sul che cosa ti succede, Evy. Non ei mai così stata distratta, di solito venivi con un bel sorriso sul volto, ora sembra che qualcuno ti forzi a sorridere.>> replicò colpendomi nel profondo.

Era vero, ero molto distratta a lavoro. Ma lui non doveva sapere che cosa stavo passando e che cosa mi facevo.

<< Mi scusi capo, cercherò di stare al passo.>>

<< Fai bene.>> mi rispose con tono freddo.

Alzai lo sguardo e lo guardai dritto negli occhi, cosa che fece pure lui. Le sue iridi erano spenti di un colore blu, identiche allo zaffiro. Non provava nessun tipo di emozione. Non provava nessun tipo de sensazione o di vergogna. Era sempre così severo con noi, che non dimostrava mai il suo vero lato. Metteva sempre in mostra la sua severità e l'aria da cattivo. E non si faceva mai vedere in difficoltà.

Che uomo strano.

<< Puoi andare ora e smettila di guardarmi in quel modo.>>

<< E come ti starei guardando?>> chiesi curiosa alzando un sopracciglio mentre mi alzavo.

Lui mi scrutò dalla testa ai piedi, per poi alzarsi ed avvicinarsi a me con dei passi lunghi e lenti facendomi indietreggiare. Sbattei contro il muro con lui che era a pochi centimetri dal mio viso.

<< Come se volessi essere sbattuta da me contro al muro.>> rispose ringhiando intanto che si leccava le labbra.

In quel momento un'ondata di vergogna iniziò a salirmi.

<< Non è vero.>> dissi mentre mi spostai verso destra, così da poter uscire da quel maledetto ufficio.

Non appena uscii feci un grande sospiro.

Ma che problemi aveva?

Camminai per le strade della città, cercando di allontanarmi il più possibile da quell'edificio che mi sembrava un carcere. Le luci della sera iniziavano a illuminare i marciapiedi, ma per me tutto era offuscato da una nebbia di tristezza e dolore. Ogni passo era un'agonia, ma sapevo che dovevo continuare a muovermi, a non fermarmi. Avevo paura che, se mi fossi fermata, sarei crollata lì, in mezzo alla strada, incapace di rialzarmi.

In The End It's Him & IDove le storie prendono vita. Scoprilo ora