Breaking my back just to know your name
But heaven ain't close in a place like this
Una delle poche forme di apprensione che i miei genitori hanno sviluppato negli anni, nei miei confronti, era la questione del prendere i mezzi pubblici da sola, specialmente di sera: una realtà grande e dispersiva come quella della città, gente che va e viene e di cui effettivamente non si sa nulla, specialmente le intenzioni, con i bagagli così esposti agli occhi e le mani altrui.
Per questo motivo non ho avuto alcun problema a comunicargli la mia decisione di andare a vivere da sola: la loro politica educativa consisteva nel lasciarmi fare ciò che volessi, fin tanto non avessi turbato la loro quiete. Al liceo potevo andare a ballare ogni fine settimana, a patto che avessi garantito un passaggio all'andata e al ritorno. Per le gite scolastiche il sì era immediato, bastava mettere i soldi e sarei stata fuori dai piedi tutta la settimana. Uscivo con chi mi andava, l'importante era che portassi buoni voti. Insomma, in generale, l'importante era che io fossi al sicuro così che loro avessero la coscienza pulita e il sollevamento dall'obbligo morale di preoccuparsi per me.
Arrivo al portone di casa distrutta ma felice, di ritorno dalla stazione su uno dei pochi treni che prenderò per loro durante il resto dell'anno, dopo un fine settimana di studio chiusa nella mia cameretta d'infanzia -sicuramente più produttivo e meno stancante dell'idea di condividere il salotto con entrambi per più di un'ora, quando finiscono gli argomenti su cui conversare- un salto nella mia vecchia routine mi ha ricordato quanto io sia grata di aver trovato il mio nido stabile, dal quale poter entrare ed uscire quando preferisco, con la mia routine da gestire in completa autonomia. L'unico pensiero che mi rasserena mentre sono via è quello del momento in cui, uscendo dalla stazione, prenderò la solita navetta tra le ultime luci del crepuscolo, rallegrandomi della vista di quella piccola cappella sul lato sinistro della strada, dall'architettura insolita, simile a quella delle chiese irlandesi, e farò quel piano di scale carica di bagagli e mansioni da svolgere.
Forse dovrei rimangiarmi queste ultime parole.
Il letto è sfatto. O meglio, è stato rifatto in un deprimente tentativo di farlo somigliare a come lo faccio io, che sono certa di aver riordinato la mia stanza prima di partire, fallendo clamorosamente, e il povero Camillo, il mio coniglio di pezza, è rotolato giù come se si fosse mosso eccessivamente durante un sonno turbolento. Un campanellino d'allarme bussa al minuscolo uscio del mio cervello per fare capolino e torturarmi con le paranoie: i ladri, la mia paura più grande di sempre.
Un inaspettato accordo di chitarra si presta da trampolino per il mio povero cuore, che esegue una tripla capriola per l'inizio della lezione del cantante, o dei cantanti, ancora non ben identificati, ricordandomi che sono le cinque. Ogni pomeriggio, intorno a questa fascia oraria, qualcuno residente ai piani inferiori al mio, dal lato della corte interna sulla quale si affaccia il balconcino della mia stanza, comincia a suonare una chitarra acustica e intonare la stessa canzone per circa un paio d'ore: le canzoni ogni giorno cambiano, ma per ogni incontro non si osa distogliere la concentrazione dalla medesima melodia. Non riesco mai a distinguere da quale finestra provenga quel canto, né se si tratti di una scuola di musica, una band o di un animo gentile che strimpella in solitaria, nella penombra della propria stanza. Qualche volta ho perfino provato a cercare su Internet alcune parole pronunciate da quel timbro sporco che sa graffiare con dolcezza parlando sostanzialmente di sogni e rivalsa in deliziosi stornelli melancolici, ma nella sua scena muta, il web mi aveva fatto capire che c'è un inquilino cantautore alle prime armi, nel mio condominio.
Oggi però, invece di deliziarmi con qualche sua canzoncina indie capace di farmi tornare il buon umore, lui -o loro, chi può dirlo- ha deciso di giocare su questo clima già di per sé disturbato, spaventandomi con quel giro di chitarra che preannuncia l'inizio di un'orrenda cover di Somebody Told Me, dei Killers, che per quanti tentativi io mi sia sforzata di fare per cercare di ampliare la mia cultura musicale, hanno davvero delle sonorità troppo rumorose per le mie orecchie abituate al genere country.
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La Paura del Buio || Måneskin
FanfictionIn una Roma colorata dalle maschere carnevalesche, c'è una giostra che gira vorticosamente, meno sicura delle altre, e un carro troppo veloce per non lasciare la città spoglia al suo passaggio. Per guadagnarsi un posto in questo mondo, il successo l...