Take me to the place where you go
Where nobody knows if it's night or day
Please don't put your life in the hands
Of a Rock n' Roll band
Who'll throw it all awayDamiano
2007.
Erano le giostre più belle che la gente potesse immaginare, ed erano anni in cui davvero ci si potevano permettere certi lussi: anni in cui le magie delle cose meccaniche e tecnologiche ancora erano guardate con stupore, in cui pur avendo poco ti sembrava di guadagnare il mondo, ed io ero convinto davvero di poter vivere di sorrisi, gli stessi che ero capace di donare agli altri.
Avevamo costruito un impero, ci eravamo presi tutto pezzo per pezzo: girare l'Italia per noi era stato come lo sbarco del primo uomo sulla luna, che marcava il suo spazio personale conquistato con fatica, piantando con tutte le forze rimaste, la sua bandiera.
La nostra bandiera era stato il finanziamento per mettere in piedi quella baracca che, al picco della nostra gloria, non solo stava in piedi, ma si muoveva anche: ci muovevamo per le regioni della penisola come una serpe che con movimenti languidi striscia producendo piacevoli suoni tra il fogliame ed incanta con la sua presenza, e come la serpe che azzanna inaspettatamente la sua preda, una volta intrappolati nel nostro mondo eravamo anche noi capaci di prendere i nostri acquirenti ipnotizzati tra le nostre spire, e succhiare via la loro attenzione, il loro tempo, ed ogni loro risparmio. Con metodi più o meno onesti.
Era il 2007, ed io ero troppo piccolo per tutto questo, ma abbastanza grande per ricordarmelo a memoria.
E dopo aver perso tutto, non potei che aggrapparmi all'unica cosa che mi era rimasta: ciò che avevo imparato.
Con la schiena in contrasto col muro e un piede scalzo puntato contro la moquette che riveste il pavimento del minivan, infilo una gamba dopo l'altra fra le maglie delle calze a rete, constatando davanti al riflesso nei finestrini oscurati quanto l'abbigliamento femminile possa donarmi.
Ma chi ha detto che è solo femminile, poi.
In quattro dentro al vecchio furgone dismesso in cui ultimamente abito con mio fratello si sta stretti, specialmente quando i nostri travestimenti di Halloween ci rendono più ingombranti del solito, ma tutto questo senso di claustrofobia si annulla in uno sguardo alla vista della mia regina, sapientemente tirata a lucido nel suo abitino nero dal quale sbuca, fra le scapole spigolose, un paio di piccole ali coperte da piume altrettanto scure. La fanno assomigliare al falco alla quale la associamo sempre per le sue infallibili abilità di osservazione, a quel paio d'occhi analitici con cui potrebbe uccidere; ma fanno a cazzotti con il candore ingenuo del suo spirito di condivisione, attraverso il quale si sistema con la spalla affiancata alla mia, mettendo in evidenza la differenza di altezza nonostante i tacchi a spillo dei suoi stivali di vernice, per posizionare a mezz'aria con la mano a metà fra di noi, uno specchietto tascabile dai bordi scheggiati nel quale rifletterci entrambi per la passata di rossetto finale.
Incontrare Victoria è stata la mia fortuna.
Non nel senso romantico della cosa, quanto a livello umano.
Sarò sincero, quel pomeriggio di inizio autunno al Parco degli Acquedotti non avevo alcun pittoresco e tantomeno romantico obiettivo: non ero lì per cercare l'ispirazione per un nuovo brano, né per godermi il paesaggio o fare una partitella di pallone. Volevo solo approfittare di una bella giornata per farmi una cannetta in serenità con i miei amici, e lo sapevo bene che non stavamo più al liceo e che queste cose avrebbero dovuto essere ormai old fashioned per gente come me, ma quando le tue giornate sono ridotte al niente -e modestamente, erano giorni in cui io ero proprio una nullità imparagonabile a qualsiasi pischello delle superiori- diventa il salvavita per dare una svolta almeno a quella manciata di ore, e forse complice proprio la botta in testa che mi dava il fumo, sarà stato il sole che ci picchiava sul volto e che la inondava di luce aurea, io l'ho vista suonare quel basso acustico tutta da sola, in mezzo al prato, e ho avuto un sussulto: di solito la gente cerca sempre gli angoli più appartati, i lati meno visibili, le nicchie più riparate dallo sguardo altrui, nei luoghi pubblici, ma lei, non curante del mondo, sedeva proprio al centro, come se, appena arrivata, si fosse seduta solo quando la sua testa le aveva ordinato di farlo, senza soffermarsi troppo a scegliere il punto più adatto. Lei era lì, seduta nel cuore del parco a irradiare la sua luce, ed io mi sono innamorato della vita, da capo.
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La Paura del Buio || Måneskin
FanfictionIn una Roma colorata dalle maschere carnevalesche, c'è una giostra che gira vorticosamente, meno sicura delle altre, e un carro troppo veloce per non lasciare la città spoglia al suo passaggio. Per guadagnarsi un posto in questo mondo, il successo l...