Il giovedì è il mio giorno libero.
Lo è sempre stato e non capisco come sia possibile la concatenazione di eventi per la quale, non importa quali siano i miei impegni, finisco per avere sempre la quarta casella del mio calendario settimanale vuota. Quando ero piccola, il giovedì era il giorno in cui entrambi i miei genitori lavoravano di mattina, e mi lasciavano alle cure dei nonni: era il giorno in cui si attivava una specie di patto implicito tra me e nonna Lavinia, secondo il quale io iniziavo a piangere a dirotto alla fermata dell'autobus, e lei, presa da un falso impeto di compassione, impediva la partenza quando le porte del mezzo erano già in procinto di chiudersi, ogni giovedì con una scusa diversa, regalandomi una mattinata di cartoni animati, gustati con tutt'altro sapore sul divano in velluto verde sempre coperto da quella trapunta con i mandala arancioni.
Quando al liceo prendevo lezioni di danza, ballavo quattro volte la settimana: martedì, mercoledì, venerdì e sabato. Era iniziata così la mia carriera da couch potato, il termine che mi aveva insegnato la mia professoressa di inglese per indicare chi, come me, apprezzava trascorrere il proprio tempo in casa, anche con una punta di pigrizia: il sabato pomeriggio i miei compagni di classe uscivano, mentre io provavo fino all'ora di cena, quindi quello stacco infrasettimanale mi permetteva di non avere altro a cui dedicarmi se non allo studio o ad una merenda in solitaria. Era anche il giorno in cui si usciva più tardi da scuola, e in cui non ricevevo dunque compiti da svolgere.
All'università non è cambiato niente. Il mio giorno libero dalle lezioni è il giovedì, che io ho deciso di consacrare alla spesa, che altrimenti non avrei mai tempo di fare.
Oggi, in particolare, sto sfruttando a pieno la mia mattinata libera: con l'influenza terribile che ci siamo prese io e Gloria dopo la nottata trascorsa in spiaggia ad aiutare Victoria, non ho più partecipato alle prove della band, e anche i fratelli David si sono fermati più di rado, forse per non disturbare, forse per non farsi attaccare alcun malanno. Così, approfittando della solitudine e del fatto che finalmente oggi mi sento un po' meglio, ho deciso di fare un salto dal fruttivendolo per un pieno di ortaggi che riempisse il mio ripiano nel frigo, e mi depurasse un po' da tutta quella pasta con improbabili sughi pronti che tengo per emergenza nella dispensa, proprio per casi in cui tra una lezione e un'altra ho pochissimo tempo per cucinare piatti elaborati, o come negli ultimi giorni, in cui ho a malapena la forza di stare in piedi.
La serratura della porta d'ingresso scatta e tutti i miei pensieri saltano via come inciampando sulle costruzioni, insieme a me, che ho un atterraggio poco saldo quando in cucina non entra nessuno dei miei coinquilini, ma Damiano. La sua visita mi lascia stupita, incantata, come se la mente si chiedesse "allora è venuto davvero", come fosse qui per me ed io, nell'attesa, non me lo aspettassi. L'attesa, invece, non mi stupisce affatto.
-E tu che ci fai qui? – parto sulla difensiva quando lascia cadere con un tonfo una busta della spesa sul tavolino, facendomi scattare nella sua direzione. Faccio sempre così quando percepisco dentro di me una tensione così forte che mi sembra di sentirla straripare dai pori come acqua da una pentola a bollore, e nel tentativo di coprirla con finta indifferenza, mi rendo conto benissimo che posso sembrare un po' saccente.
-Niente, oggi Thomas non c'è e così mi ha detto che potevo...
-Innaffiare la sua piantina di marijuana?
Mi guarda con aria corrucciata, probabilmente non coglie l'ironia. Adesso, mentre se ne sta lì impalato, con gli occhi sgranati che, a quelli di chiunque altro non sia me, lo farebbero sembrare un completo idiota, con quegli orecchini di falsi brillanti simili a Justin Bieber ai primi anni 2000 e il maglione nero slavato di un paio di taglie in più, conto fino a tre: o inizia a vedermi come un'antipatica e questa conversazione morirà qui fra le mie mani, o scoppierà a ridere e potrò vantarmi con me stessa di essere riuscita a portare avanti un dialogo in maniera brillante.
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La Paura del Buio || Måneskin
FanficIn una Roma colorata dalle maschere carnevalesche, c'è una giostra che gira vorticosamente, meno sicura delle altre, e un carro troppo veloce per non lasciare la città spoglia al suo passaggio. Per guadagnarsi un posto in questo mondo, il successo l...