Prologo

892 43 19
                                    

La vita non è mai come uno se la immagina.

Glielo ripeteva sempre Anita quando, sdraiati sul letto matrimoniale del piccolo appartamento in cui abitavano, si concedevano il lusso di viaggiare con la mente e di esplorare terre che, probabilmente, mai nella vita, il piccolo Manuel avrebbe visto.

Ché Anita, in gioventù, aveva viaggiato tanto, da sola e con suo marito – il papà di Manuel – e rendere partecipe Manuel dei suoi ricordi era ciò che preferiva di più.

Ciò che, invece, amava Manuel di quei racconti, non era la narrazione di terre lontane che sua mamma prometteva di fargli visitare – anche se poi finivano sempre ad Ostia d'estate e a Frascati d'inverno – ma l’immagine che la sua mente creava di quel padre che viveva, purtroppo, solo nei ricordi di sua madre.

E ne era innamorato, Manuel, degli occhi di sua madre quando parlava di quell'amore forte, totalizzante, che le aveva lasciato l’eredità più preziosa: un figlio identico a quell’uomo che una malattia le aveva portato via, con la sua stessa curiosità, gli stessi occhi, gli stessi capelli.

E, allo stesso modo, era innamorato della loro storia, della descrizione della piccola chiesa di campagna nella quale si erano sposati, del racconto di quella cerimonia intima e frugale, priva di sfarzo ma ricca d'amore.

Gli occhi di Anita ardevano d'amore ogni volta che dava voce al ricordo di quell’uomo che, per un periodo di tempo, era stato tutta la sua vita.

E quando Manuel divenne abbastanza grande da iniziare a porsi delle domande e a porle alla madre, non poté fare a meno di chiederle come avesse fatto a capire di essere innamorata.

«Manuel, tuo padre mi fece due regali speciali: mi regalò il mondo e mi regalò te» gli disse.

E ciò che inizialmente era così criptico da suscitare in Manuel nulla in più di uno sguardo confuso, divenne chiaro e limpido qualche tempo dopo, quando quel mondo arrivò nelle sue mani.

Era un semplice mappamondo con la luce dentro che, per Anita, però, era qualcosa di molto più prezioso.

C'erano dentro i suoi sogni, i suoi ricordi, i nomi di tutti quei luoghi che aveva visitato e nei quali aveva lasciato un pezzo del suo cuore e della sua storia d'amore e la vita che avrebbe voluto vivere e che, invece, era rimasta intrappolata tra i meridiani e i paralleli di quel mappamondo.

Ché Anita aveva imparato che la vita non è mai come uno se la immagina il giorno in cui la stessa aveva deciso di privare lei di un marito e suo figlio di un padre.

Era rimasta vedova e con un bambino piccolo da crescere, e da quel giorno, di quella frase ne aveva fatto un mantra, affidando a quella sfera luminosa tutti i suoi sogni.

E Manuel, alla fine, seguendo le orme di sua madre, aveva anch'egli riposto in quel mappamondo gran parte dei suoi sogni.

Il mappamondo orbitava e lui immaginava che, magari, il primo viaggio lo avrebbe fatto in Thailandia, che in Bolivia avrebbe incontrato l'amore della sua vita, che a New York avrebbe diretto una grande azienda e che sarebbe andato in vacanza a Firenze con la sua mamma.

Ma in poco tempo, però, anche Manuel si rese conto che la vita non è mai come uno se la immagina.

Venticinque anni, pochi soldi e tanti sogni, quella frase continuava a ripeterla dentro sé ogni giorno, soprattutto quando, chiuso nel gabbiotto della biglietteria della fermata Anagnina della metro A di Roma, pensava a tutte quelle volte che, sognando ad occhi aperti, si era visto seduto su qualche poltrona in pelle di un ufficio di una metropoli americana, pronto per ricoprire un ruolo importante.

Ma poi gli bastava sentirsi chiedere un biglietto dell’autobus – ovviamente senza neanche un per favore – per rendersi conto che sì, si trovava in una metropoli ma non era americana, non era in un ufficio ma in una cabina di tre metri quadrati e che la sedia sulla quale era seduto era in plastica e scricchiolava pure.

Neanche a dirlo, la vita con Manuel non era stata affatto generosa e tutti i suoi sogni erano rimasti tali.

Un lavoro triste con uno stipendio da fame.
Una casa vuota senza nessuno che lo aspettasse.
E nessuno che, come suo padre aveva, al contrario, fatto con sua madre, gli regalasse il mondo.

Trascorreva le sue giornate a crogiolarsi nella speranza che un giorno, vicino o lontano, chiunque ci fosse lassù si accorgesse della sua esistenza e si decidesse a regalargli un briciolo d'amore.

E quel giorno – almeno nella mente di Manuel – sembrò arrivare il 17 settembre di quell’anno.

Era un giorno come un altro.

Era uno dei tanti giorni in cui Manuel, sempre chiuso in quello spazio angusto, era intento a svolgere il suo lavoro, concentrato più sui resti da dare che sui visi oltre la finestra di vetro.

Fu forse il sesto senso o, più semplicemente, la necessità di alzare lo sguardo e distoglierlo da quelle monete che stavano, via via, assumendo sempre di più la stessa dimensione impedendogli di distinguerle che, ad un certo punto, Manuel alzò gli occhi e si trovò ad incastrarli in quelli di un ragazzo alto, con gli occhi e i capelli scuri e di una bellezza disarmante.

Da inguaribile romantico e sognatore incallito com’era, subito interpretò quell'incontro come un segno del destino e, in breve tempo, prese a definire quel ragazzo come l’amore della sua vita.

La percezione dello scorrere del tempo, per Manuel, cambiò.

Faceva comunque un lavoro triste con uno stipendio da fame, ma da quel 17 settembre, ogni giorno attendeva con ansia il giorno dopo – precisamente un orario che andava dalle 8.00 alle 8.15 – soltanto per specchiarsi in quei due occhi color cioccolato e per sentire la voce di quel principe azzurro con il quale – Manuel ne era convinto – avrebbe trascorso la sua intera vita.

Ché mi’ madre ha capito de esse innamorata perché mi’ padre j’aveva regalato ‘r mondo.
A me ‘n m’ha regalato ‘r mondo, m’ha dato n’euro e cinquanta pe’ ‘r biglietto che manco me intasco io, ma so’ sicuro che lui è l'omo della vita mia.
Pure se n’avemo manco mai parlato.
Ma io lo so che ‘n giorno succederà, ne so’ sicuro.
Lo so e basta.
E so pure che ‘n giorno troverò ‘r modo de presentamme.
‘R sogno se avvererà come nelle favole.

Quello di cui Manuel non era ancora consapevole, però, era che quell’innocente pensiero si sarebbe presto trasformato in un castello di bugie che avrebbe messo a dura prova anche la sua anima da sognatore, perché, in fondo, Anita aveva sempre avuto ragione.

La vita non è mai come uno se la immagina.









Eccoci qua con il delirio n. 27 di questo profilo.

Scherzi a parte, amo questo film e riguardandolo, ho pensato che avrei potuto adattarlo ai nostri amati Simuel.

Troveremo un Manuel moooolto sottone e...e un qualcosa che nessuno si aspetta.

Menzione speciale per l'atac che, insomma, c'è da ammetterlo, se non aspettassi i mezzi per tempi biblici, probabilmente non avrei il tempo di scrivere.

Grazie per essere sempre qui e per questo viaggio che, spero, faremo insieme.

Saranno, circa 10 capitoli + epilogo e ci vedremo settimanalmente (stavolta sul serio 😂)

Bacino.

Sempre vostra,
Bibi 🤍

Un amore tutto suoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora