4. Disappointments that change perspectives

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"La delusione è un pugno allo stomaco
che t'ammazza tutte le farfalle."
- G. Cardinal

MAYLIN

In situazioni similari a quella, quando il patimento macerava le persone a me care, prendevo inevitabilmente coscienza di quanto fossero illusorie le convinzioni in cui navigavo.

Appuravo che la sofferenza, al contrario di ciò che pensavo, poteva ancora esercitare dell'autorità sulla mia mente. Che il dolore, sebbene per molto tempo l'avessi creduto impossibile, poteva ancora insinuarmisi dentro e disintegrare anche le particelle rimaste parzialmente intatte, sopravvissute per miracolo alla collezione di esperienze travagliate che segnavano il mio passato.

A causa dell'intransigente necessità di tutelarmi, avevo dovuto imparare a soffocare le emozioni. A reprimerle in profondità e trattenerle lì fino a quando giungevo fatalmente a vomitarle. Ma soprattutto, a escogitare piani indefettibili per tardare quanto più possibile il momento in cui i ruoli si invertivano ed erano loro ad asfissiare me.

E senza nemmeno rendermene conto, poiché ero fin troppo impegnata nel disperato intento di diventare intoccabile alla comparizione improvvisa del tormento, avevo permesso che la presunzione s'impossessasse della mia persona e m'inculcasse nella testa l'ingannevole certezza di essere divenuta immune a ogni tipo di sensazione che includesse, anche soltanto vagamente, il sentimentalismo o la più lontana probabilità che mi attaccassi emotivamente a qualcosa o qualcuno.

La cruda verità, però, era che io avevo perso il controllo ormai da fin troppo tempo.

A forza di essermi ripetuta per una buona parte della mia esistenza che le emozioni prendevano vita all'interno della mia mente e, di conseguenza, potevo impormi quando e come provarle, ero finita col cadere nel mio stesso inganno.

Il voler dominare obbligatoriamente i miei sentimenti, soprattutto quelli riconducibili alla delusione e al dolore, non rappresentava più soltanto una semplice esigenza. Si era tramutata in un'azione compiuta con l'intenzione di autoregalarmi piacere. Spesso subdolo e limitante.

Lo dimostrava il fatto che niente mi sfiorava.

Quando i problemi riguardavano solo e unicamente me, era come se nemmeno esistessero. Come se il mio cervello si rifiutasse di contemplarli e convertirli in un ennesimo fardello da trascinarsi dietro.

Tendevo a essere sempre indifferente a tutto. Imperturbabile. Resistente alle croci che, volente o nolente, mi appartenevano.

Ciononostante, mi consolava la consapevolezza che di me esisteva anche un'altra versione. Quella esageratamente empatica che voleva a ogni costo aiutare tutti, malgrado io fossi la prima a non afferrare le mani che si tendevano in mio soccorso.

Perché era così: quando il supplizio intaccava le persone che amavo di più nella vita, la corazza che mi avvolgeva, dispensando credibilità all'apparenza da stronza insensibile, perdeva drasticamente di attendibilità ed efficienza, rendendomi smisuratamente vulnerabile. A tratti irriconoscibile.

In quelle circostanze, non esisteva motivazione ragionevole che potesse indurmi a utilizzare con loro la stessa tattica che attuavo su di me. Ossia quella di trascurare e ridimensionare l'importanza dei complessi che insorgevano periodicamente con l'obiettivo di donare sapidità alle nostre giornate piatte e insapori.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 02 ⏰

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