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«Tu

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«Tu.»

Era evidente che quella non fosse per nulla la sua giornata. La sua espressione, che fino a pochi istanti prima era gentile, divenne impassibile. Chiaramente aveva visto qualcosa, in quel caso qualcuno, che non voleva vedere e lo si poteva intuire dal modo in cui guardava Renji, come se volesse incenerirlo all'istante.

Avrebbe dovuto capire subito che il fratello di Nanami fosse lui? No, come poteva farlo. Anche se si era firmato come Renji Hayashi quando le aveva scritto per dare ripetizioni alla sorella e il nome del ragazzo al Goya era Renji, non aveva modo di pensare che fossero la stessa persona. E anche lo avesse capito, quel lavoro le serviva perciò avrebbe dovuto lasciar correre il fatto che il fratello di quella ragazza fosse un completo maleducato.

«Sorpresa?»

Al contrario, Renji non sembrava stupito di vederla là. Mentre portava due dita al collo per allentare il nodo alla cravatta, le rivolse uno sguardo.

In quel momento Hime ebbe l'impressione che lui sapesse già chi era. All'improvviso le parole di Atsuko ebbero un senso. "Dal vivo è persino più bella delle foto che hanno stampato di lei"  aveva detto e se lei l'aveva riconosciuta nel momento stesso in cui se l'era trovata di fronte, ciò poteva significare che anche Renji l'aveva riconosciuta quando erano al Goya, soprattutto perché Ōshiro si era premurato di dire anche il suo nome. E lui non aveva detto niente.

«Non in senso buono.» replicò lei con tutta la sincerità di cui un essere umano era capace. Incrociò le braccia al petto e si voltò verso Nanami. «Ti ringrazio per l'invito, ma temo di non potermi trattenere a cena.» e mentre pronunciava l'ultima parola, si premurò di guardare Renji con la coda dell'occhio così che quest'ultimo capisse che si riferiva a lui.

«Un attimo, voi due vi conoscete?» intervenne Nanami, con un sopracciglio alzato e una mano sul fianco. Quella domanda iniziava a farle storcere il naso un po' troppo.

«Non esattamente.» Hime aveva ormai recuperato le scarpe nell'atrio ed era pronta ad uscire. Anzi, non vedeva l'ora di andarsene. L'aria si era fatta incredibilmente pesante.

«L'ho incontrata per caso da Ōshiro durante l'ora di pranzo.» aggiunse lui.

Parlava con leggerezza, come se non fosse accaduto nulla, come se lei non avesse posato una mano sulla sua spalla e gli avesse intimato di smetterla con quell'inutile teatro di parole deleterie. Ma Hime sapeva che Renji aveva quel modo di fare perché semplicemente non gli interessava nulla, non per nascondere qualcosa a sua sorella. E quest'ultima aveva ragione quando diceva che a lui non importava cosa pensassero gli altri.

«Il signore di quel locale?» domandò Nanami; non sembrava più così arrabbiata con lui. Il fratello annuì soltanto e sfilò la giacca. Addosso aveva la stessa camicia che la sua migliore amica aveva involontariamente sporcato, anche se ora la macchia rosa era meno visibile e non vi era alcun pezzo di torta sopra.

«Vado ad avvisare Atsuko che sei arrivato. Hime, sei sicura di non voler restare?» la ragazza la guardò con occhi imploranti, sembrava tenerci realmente ad averla a cena con loro, ma Hime le sorrise e scosse la testa.

«Magari la prossima volta.»

Nanami simulò un piccolo broncio, poi uscì dall'atrio lasciandosi dietro un arrivo subito urlato a tutta voce.

«Dovresti delle scuse a Saori per quello che le hai detto.» prima di parlare, Hime attese che la piccola di casa fosse abbastanza lontana da non sentire. Non che le importasse di proteggere la reputazione di Renji davanti a sua sorella, banalmente non aveva alcuna intenzione di coinvolgere altre persone in una discussione avvenuta tra loro.

«Saori?»

«Sai perfettamente di chi sto parlando.»

Ma lui non rispose, si limitò al solo atto di avvicinarsi a lei fino ad esserle a circa un metro di distanza. Hime era alta, ma tra loro esisteva comunque una disparità di altezza tale per cui per poterlo guardare negli occhi senza timore, doveva sollevare lo sguardo.

«Com'è andata con Nanami?»

Quella vicinanza non le dava fastidio più di quanto non lo facesse il suo più totale disinteresse verso ciò che lei gli aveva appena chiesto. Doveva aspettarselo, dopotutto non sarebbe stato sincero anche se si fosse scusato, perciò non aveva senso insistere. Era solo tempo perso, così come quello che stava sprecando lei in quel momento.

Nonostante ciò, Hime decise comunque di rispondere sinceramente a quella domanda. Era negli interessi di entrambi che Nanami si trovasse quanto meglio possibile. «Bene.»

Ora che Renji era così vicino, ebbe l'occasione di osservarlo meglio. Alla fine chi dei due aveva ereditato gli occhi grigi della madre era stato lui, anche se per il resto le somigliava piuttosto vagamente. Aveva i capelli, non più lunghi delle spalle, raccolti in un codino disordinato. Non ricordava di aver notato quel dettaglio quel pomeriggio, l'unica cosa che le era rimasta impressa erano le due ciocche disordinate che ricadevano ai lati del viso.

Peccato, sarebbe anche un bel ragazzo se solo non fosse nato con il dono della parola.

Renji sfilò dalla tasca il portafogli dal quale estrasse le banconote che le spettavano come compenso per il primo giorno di lavoro. Ma Hime non allungò la mano per prenderle. Non aveva svolto alcuna lezione, aveva semplicemente lasciato che Nanami parlasse di sé e le aveva raccontato qualcosa per motivarla; aveva bisogno di soldi, ma era piuttosto onesta riguardo i meriti che poteva prendersi e questo non era il momento, perciò decise semplicemente di non accettare.

«Il suo unico difetto è il fratello.» colse piuttosto l'occasione per lanciargli un messaggio abbastanza subliminale. «Che ha deciso di costringerla a prendere lezioni con la sola conseguenza di farla arrabbiare e farmi perdere l'intero pomeriggio per cercare di convincerla a studiare.»

In realtà le era bastato menzionare il club di passeggiate in kimono per farle riacquistare la determinazione necessaria ad affrontare gli esami nazionali, ma aggiungere una punta di drammaticità per fargli capire l'inutilità del suo gesto non guastava.

«Un motivo in più per accettare, riconosco che convincere un Hayashi possa essere impegnativo.»

Sembrava che Renji parlasse più per sé che per Nanami, anche se non aveva dubbi che per lei valesse lo stesso discorso. Con lui era tutto un sembrava, vago com'era. E passandole accanto con l'intenzione di posare la giacca sull'appendiabiti, si assicurò di infilarle le banconote nella tasca del cappotto che indossava.

«Lo vedo.»

«Eccomi qui.» dalle porte scorrevoli dell'atrio ricomparve sua sorella e con lei anche il sonoro brontolio di uno stomaco affamato.

«Allora ci vediamo domani, Nanami. Salutami la signora Atsuko.» Hime avvolse la sciarpa primaverile intorno al collo e sistemò la borsa sulla spalla prima di ricambiare il suo saluto agitando una mano. Uscì dall'abitazione senza rivolgere neppure uno sguardo a Renji, i minuti che avevano trascorso da soli erano stati più che sufficienti.

Finalmente poteva respirare.

Fragole e ciliegi in fioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora