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Da quando aveva messo piede in quella stanza, Hime aveva perso la cognizione del tempo

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Da quando aveva messo piede in quella stanza, Hime aveva perso la cognizione del tempo. Non sapeva quante ore fossero passate, ma dagli ultimi bagliori del sole all'orizzonte capì che il pomeriggio stava ormai per giungere al termine.

In compenso, Nanami Hayashi si era rivelata una normale studentessa delle scuole superiori con un normale gruppo di amiche, una normale cotta per un ragazzo nella sua classe e una anormale passione per gli abiti tradizionali. Ostile, testarda e orgogliosa. Atsuko non aveva torto, ma nessuno meglio di Hime avrebbe potuto comprendere una persona così simile a lei.

Ascoltandola aveva scoperto che Nanami non era solo una ragazza normale; era furba, caparbia, vivace, determinata. Sapeva cosa le piaceva e riconosceva l'utilità delle ripetizioni per gli esami nazionali, ma detestava l'idea che suo fratello non la considerasse intelligente abbastanza da potersela cavare anche da sola.

«Quindi è per questo che sei arrabbiata con lui?»

«Sì, praticamente. Lo odio quando si comporta così, è come se non gli importasse nulla di quello che pensano gli altri. Insomma, sono pur sempre sua sorella.»

Nanami era stesa sul letto, con le mani piegate dietro la nuca. Hime era seduta sulla sedia con una penna in mano e aveva ascoltato la ragazza parlare per tutto il tempo mentre preparava il programma mensile da seguire, senza perdersi nemmeno un dettaglio del suo racconto. Ma le andava bene così, in fondo le piaceva molto di più ascoltare che parlare.

«Sono sicura che non volesse ferirti. Vedilo piuttosto come un modo per aiutarti a raggiungere il tuo traguardo.»

Una volta aver posato i fogli, finalmente Hime si voltò nella sua direzione. Pensierosa, alzò un dito per aria come se volesse imprimere una nozione nella sua mente.

«Certo, hai tutto il diritto di essere arrabbiata, ma sei pur sempre sua sorella, è normale che lui si interessi di te.»

«Forse potresti avere ragione.» Nanami smise di giocare a soffiare sui capelli per spostarli dal volto e un sorriso compiaciuto comparve sul suo viso al posto del broncio di qualche secondo prima. «Ho deciso, devo impegnarmi. In questo modo potrò diventare come te, intelligente e bella, e all'università tutti faranno la fila per essere miei amici.»

Hime non potè trattenersi dal ridere. «Sono certa che sarai circondata di persone pronte a stringere amicizia con te.»

Era lusingata che Nanami la vedesse come un esempio da seguire, tuttavia era certa che con il suo carattere avrebbe avuto più amici di quanti ne avesse lei.

La verità è che Hime era una falsa estroversa; avrebbe potuto stringere amicizia con chiunque in qualsiasi momento, ma non voleva perché amava troppo la sua solitudine per poterla cedere ad uno stile di vita che non le apparteneva. Per quanto a suo agio potesse sembrare, stare in mezzo alla gente le faceva dimenticare chi fosse realmente.

Per questo in università parlava con chi le rivolgeva la parola, accettava i complimenti degli studenti che la fermavano per i corridoi e declinava altrettanto gentilmente gli appuntamenti che le venivano proposti, senza mai sbilanciarsi più di quanto ritenesse necessario fare.

C'era una cosa che però Hime si premurava sempre di far comprendere ai suoi interlocutori: la linea tra la sua educazione e la sua ostilità era molto sottile, perciò era meglio per tutti non provare in alcun modo a mentirle o a comportarsi in maniera sbagliata. Le persone come lei non cambiavano il mondo, né erano disposte a farlo, e dunque non le interessava fare buon viso a cattivo gioco con chi in futuro le sarebbe potuto tornare utile. E a Hime stava bene così, aveva i suoi tre amici, questo le bastava ampiamente.

«Non vedo l'ora di unirmi al club di passeggiate in kimono.» esclamò sognante Nanami con lo sguardo perso nel vuoto della stanza, probabilmente immaginando quello che Hime le aveva raccontato sulle attività extracurricolari dell'università di Kyoto - che sotto quell'aspetto era molto sopra alle righe. «E tu quale circolo hai scelto?»

«Strumenti tradizionali.» tra le tante cose che Nanami aveva raccontato di sé, a Hime venne in mente un dettaglio particolare. «Il ragazzo che ti piace, anche lui vorrebbe entrare nella tua stessa università?»

«È quasi certo che entrerà, è il migliore della classe.»

«Questo significa che devi impegnarti.» le rivolse un sorriso sicuro di sé, al quale la ragazza di fronte a lei rispose con un pollice in su. Una volta raccolto il materiale dalla scrivania, con la coda dell'occhio guardò l'orologio al muro. «Si è fatto tardi, è il momento di andare.»

«Ma come, di già?» Nanami balzò su dal letto con aria piuttosto contrariata. Hime non si aspettava che fosse addirittura dispiaciuta di vederla andare via, come se il giorno dopo non dovesse tornare. «Ti accompagno alla porta, vieni.»

Il silenzio del corridoio era scandito dai loro passi leggeri sul pavimento di legno. Le sembrò che Nanami somigliasse molto a sua madre, fatta eccezione per il colore degli occhi che non era grigio ma nocciola. Per il resto i capelli castani, lineamenti del viso erano pressoché uguali a quelli della donna del dipinto, persino lo sguardo.

Che profumo. Atsuko doveva star preparando qualcosa di buono perché nell'aria si era disperso un odore caldo e dolciastro proveniente dalla cucina. Per un attimo si sentì a casa, anche il Goya aveva quel profumo. Hime aveva istintivamente arricciato il naso.

«Idea! È l'ora di cena, perché non ti fermi a mangiare con noi? Mio fratello dovrebbe arrivare tra poco.» Nanami pareva felice della sua proposta, a giudicare da come batteva ripetutamente le mani dondolando sui talloni, e lo fu ancor di più quando sentì la porta d'ingresso aprirsi.

«Sono a casa.»

Quella voce.

Renji?

Fragole e ciliegi in fioreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora