5. Di scuse e di scoperte

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Davanti alla caserma dei carabinieri in cui presta servizio mio fratello, sto facendo pari e dispari per decidere se entrare o no. È martedì, Marco non lavora e ne ho approfittato, appena uscita da scuola, per venire a parlare da sola col suo collega, Scalò.

Ieri, infatti, quando Marco è tornato a casa abbiamo avuto una discussione che si è svolta più o meno così:

«Hai davvero sbattuto la porta in faccia alla signora Vaccari?»

«Sì, ma lei...»

«Non mi interessa! Ti rendi conto della figura di merda che mi hai fatto fare?»

«A te?»

«Sì. Perché la signora Vaccari mi ha detto: "Signor Marco, non dovrebbe lasciare sua sorella da sola a casa". E come posso darle torto? Non posso mica lasciare a casa da sola una ragazzina che alle tre del pomeriggio si esercita con la chitarra elettrica?»

«Non mi stavo esercitando con la chitarra, stavo ascoltando la musica

«È la stessa cosa! Il punto è che... Dio mio, Paola, abbiamo fatto questo discorso un centinaio di volte! Non devi suonare, o ascoltare musica a quell'ora! E poi come ti è venuto in mente di risponderle così? Mi sono sentito così in imbarazzo e il mio collega ha anche sentito tutto!»

«Il tuo collega chi?»

«Scalò. Mi era venuto a prendere

«E che ha detto?»

«Che ha detto chi?»

«Il tuo collega

«Niente, che c'entra adesso il mio collega? Mi ascolti? Non provare a cambiare discorso

Ho roteato gli occhi al cielo, poi l'ho ascoltato ancora per un po' e ho anche accettato, a malincuore, di andare a chiedere scusa alla signora Vaccari. A mente lucida e dopo aver ricevuto un messaggio di Matteo che mi diceva di aver saltato la scuola per evitare il compito di matematica – cosa che, a pensarci, avrei potuto fare anche io – sono venuta alla conclusione di aver esagerato con la signora Vaccari e che l'ho fatto anche quando Scalò per poco non mi ha investito.

Se ho chiesto scusa a quella vecchia megera che osa considerare la musica che ascolto "orribile", devo farlo anche con lui. E c'entra solo in parte il fatto che non ho proprio voglia di sentire un'altra ramanzina da parte di Marco.

Quindi adesso sono qui, davanti al cancello dipinto di un rosso un po' sbiadito, pensando a come fare per incontrarlo ma soprattutto a cosa dirgli. Okay che devo chiedergli scusa, ma non lo conosco e sarà difficile per me iniziare il discorso.

Scruto ancora il cancello, alla ricerca di un varco da cui entrare, quando mi si apre davanti da solo e sono costretta a spostarmi per far uscire proprio lui, Scalò, in sella alla moto che guidava quel giorno. Indossa il casco integrale, mentre le gambe sono fasciate da jeans neri e aderenti; il giubbino di pelle sotto cui posso intravedere una t-shirt grigia.

Gli faccio un cenno con la mano, lui spegne la moto e alza la visiera del casco.

«Ciao.»

«Ciao» risponde, freddo. «Tuo... il Maresciallo non c'è.»

«Lo so. Volevo parlare con te, hai un momento?»

«Dimmi.»

Mi schiarisco la gola tossendo, poi cerco di parlare evitando di incrociare i suoi occhi glaciali: «Volevo chiederti scusa, sai per... Per averti fatto il dito medio quella mattina. Ero in ritardo, pioveva e poi quell'ombrello...» Riprendo fiato. «Insomma, mi dispiace.»

Scegli Me: Tra le Ali del Destino - Trilogia degli Angeli #1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora