Il giorno seguente per Lavinia a scuola fu un girone infernale di "Ma tu lo conosci?", "Ma perché non me lo presenti?", "Ma è proprio come sembra in TV o è più simpatico?", "Di tutti gli attori famosi, certo che ti è capitato di conoscere proprio quello più cesso!"...
Quelle galline superficiali non avevano idea di cosa stessero parlando: poco simpatico, non bello... Vincenzo aveva in sé tanto di quel tesoro che loro non potevano neppure immaginarselo. Certo, non era entusiasta delle proprie comparsate in TV, ma a volte gli erano d'obbligo per qualche programma celebrativo per il padre o per partecipare alle presentazioni dei film nei quali lavoravano i fratelli, e questa costrizione si traduceva in una postura rigidamente chiusa, risposte telegrafiche, falsi sorrisi di circostanza. Questi erano, principalmente, i motivi per cui Vincenzo non risultasse esattamente desiderabile dal grande pubblico. Ma Lavinia non conosceva quel Vincenzo Ferro, lei aveva avuto modo di incontrare quello vero, il lavoratore, lo studioso, quello che ripeteva la stessa battuta mille volte con dedizione e impegno se a Carlo non convinceva fino in fondo la sua intonazione, quello che aveva l'umiltà di stare a sentire i maestri invece che la spocchia di chi va in TV a declamare la povertà d'animo delle proprie ex fidanzate.
Purtroppo era proprio questo che le sue compagne di scuola andavano cercando nei divi della televisione e, in effetti, lui non era affatto un divo, men che meno della televisione. Questo portava la ragazza ad arrabbiarsi per i giudizi affrettati che le sue coetanee facevano nei confronti del suo amico (ma era poi davvero un suo amico?), ma subito dopo a sorriderne divertita, come quando un adulto sente un bambino fare un discorso accorato inserendo qua e là qualche parola inventata.
Questo clima da pettegolezzo rincorso la invase per giorni, settimane, ma poi, come tutte le cose che riguardano le giovani generazioni, scomparve poco dopo i numerosi muri che Lavinia tirava su quotidianamente ignorando qualsiasi commento riguardo la sua conoscenza con il figlio di.
E si accorse che non lo faceva tanto per sottrarsi dal centro della bolgia, ma per proteggere la reputazione di Vincenzo, per non permettere a nessuno di ricamare sopra qualsiasi cosa lei avesse potuto dire, per difendere quell'uomo da un'ondata di marciume (come lui soleva chiamare l'atteggiamento pettegolo del pubblico) che gliene sarebbe potuta derivare. Era un atto d'amore.
Ma non un amore propriamente inteso, più un amore amicale, fraterno. Almeno questo era quanto Lavinia si ripeteva ogni volta che sentiva una sottile puntura nel fondo del proprio stomaco quando le sue compagne parlavano male di lui.
Era vero, nel suo ventre percepiva dei finissimi fremiti quando le conversazioni o, più semplicemente, i suoi pensieri vertevano su Vincenzo Ferro, ma stava per compiere diciassette anni, mentre lui era già un uomo con un lavoro, un contratto, dichiarazioni dei redditi e piano pensionistico: due universi con davvero poco a che spartire, tanto più che lui amava la ribalta (almeno quella di un certo tipo) e lei la rifuggiva come il peggiore dei mali. Per Lavinia questo era più che sufficiente per prendere una decisione: avrebbe continuato a nutrire un'adolescenziale cotta per lui (non solo dal momento che su questo non sentiva di avere grande potere di scelta, ma forte anche del fatto che lei fosse, effettivamente, un'adolescente) ben consapevole che doveva restare entro quel limite di ammirazione platonica e nulla più. Non avrebbe ceduto a sguardi che indugiassero un secondo in più su di lui, né a lusinghe per osservarne le reazioni. Sarebbero stati vicini, ma solo come colleghi.
E questo era quanto.
Finalmente giugno arrivò. Pochi giorni prima Vincenzo aveva nuovamente fatto la propria apparizione all'uscita di scuola, cosa che durante l'anno era accaduta altre due o tre volte come improvvisata a Lavinia, e in quella occasione sembrava così eccitato, come se stesse davvero per iniziare un'avventura fantastica.
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Servo di scena. Ovvero Sonetto 130
Short StorySera, teatro. Servo di scena e capocomico dividono l'angusto spazio del camerino, preparando trucco e vestiario per l'imminente messa in scena. Dopo anni di quotidiana sintonia, quella sera qualcosa inquina l'aria abitualmente rassicurante del dietr...